header header

Blog

47DACE42-9132-4D05-923A-7351D7808308

Tiziana Adage

Innovazione

UN SUCCESSO ANCHE MADE IN CANAVESE

Da canavesana all’ estero interessata nello sviluppo di start-up e spin-off universitarie e in tutto ciò che è innovazione e sviluppo di nuove tecnologie, non posso che essere orgogliosa del risultato ottenuto dalla regione Piemonte, che viene per la prima volta inserita nella lista delle regioni europee per attrazione degli investimenti esteri.
La posizione le viene riconosciuta nel rapporto ‘European Cities and Regions of the Future 2024’ (città e regioni europee del futuro, 2024) appena pubblicato dal Financial Times, che attribuisce il 6° posto al Piemonte tra le regioni europee di grandi dimensioni, per la capacità di offrire un terreno fertile per gli investitori europei.
Per stilare la classifica sono stati raccolti gli esiti di sondaggi condotti da agenzie di promozione di investimento Europee nella categoria strategia FDI (foreign direct investment; investimenti diretti esteri). Tra i parametri valutati la prestazione del territorio in cinque sottocategorie: potenziale economico, cordialità nei rapporti d’affari; capacità di connessione; capitale umano e stile di vita; ed efficacia in termini di costi.
Nell’elenco degli importanti investimenti sul territorio Piemontese è di particolare rilevanza per il Canavese impegno economico di Novartis Italia in Advanced Accelerator Applications (AAA; ora parte del gruppo) e da tempo sita nel Bioindustry Park Silvano Fumero, a Colleretto Giacosa.
AAA ha da sempre l’ambizione di trasformare la vita dei pazienti in ambito oncologico utilizzano la medicina nucleare, sia sviluppando terapie a base di radioligandi selettivi che implementando sistemi per imaging di precisione, sempre con utilizzo di radioligandi, che consentono la visualizzazione più precisa dei tumori.
Non posso che augurarmi che il successo ottenuto dalla regione serva da cassa di risonanza e attragga sempre più investimenti stranieri sul territorio, come mi auguro che il territorio si impegni a mantenere e sviluppare ulteriormente le caratteristiche listate tra i parametri di valutazione.
Quello che dal mio punto di vista è certo è che il Canavese in termini di capitale umano e stile di vita ha sicuramente moltissimo da offrire.

3986C023-58F2-4DB0-9E07-D4ACA7F10758
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

GRANPARADISOBUS

Volentieri rilanciamo come Canavese al Centro questa proposta dell’Associazione Amici del Gran Paradiso, riteniamo che con un po’ di coordinamento e buona volontà si possa dare seguito a questa esigenza che sicuramente aiuterebbe lo sviluppo del Turismo nel nostro Canavese senza dimenticare la indispensabile riapertura della tratta ferroviaria (in fase di elettrificazione) Rivarolo – Pont C.se.

OGGETTO: proposta di creazione del servizio GRANPARADISOBUS

Da tempo questa Associazione, che opera a Ceresole Reale dal 1996, raccoglie le proteste degli utenti
della linea di bus Gtt da e per Ceresole Reale che chiedono un adeguamento degli orari alle esigenze di turisti e frequentatori del Parco Gran Paradiso. In particolare, viene evidenziato il caso del bus in partenza da Ceresole alle 16,37 (festivi compresi). Un orario prima del passaggio della linea Canavesana (Sfm1 Rivarolo-Chieri) a Trenitalia che permetteva agli utenti diretti a Torino di utilizzare la coincidenza con il treno in partenza da Rivarolo alle 18,19. Cosa che non avviene più, con gestori diversi, quando il bus partito da Ceresole è in ritardo a causa del traffico intenso sull’ex statale 460.

Emblematica la situazione in cui l’anno scorso, vennero a trovarsi due escursionisti stranieri impegnati nel trekking del Gran Paradiso. Partiti da Ceresole la domenica alle 16,37 cercavano di raggiungere Cogne; persa la coincidenza con il treno per Torino alla stazione di Rivarolo, dovettero aspettare la mattina dopo per raggiungere Torino Porta Susa e da qui Aosta con il “regionale” Torino-Ivrea-Aosta; infine, ultima tappa, dopo due giorni di viaggio, dal capoluogo valdostano a Cogne.

Da più parti, in un’ottica di decongestionare il traffico automobilistico in una zona cosi delicata dal punto di vista ambientale e nello stesso tempo di incentivare il trasporto pubblico, si chiede di razionalizzare gli orari delle linee da e per Ceresole Reale, facendo partire, ad esempio, il bus da Ceresole alle 17,37 anziché alle 16,37, con capolinea finale Torino, anziché Rivarolo, in modo da permettere a turisti ed escursionisti di trascorrere una giornata completa nel Gran Paradiso. Va da sé che l’utente dovrebbe contare anche sul servizio di andata da Torino del GRANPARADISOBUS, con partenza dal capoluogo torinese attorno alle 6,30/7.00.

La vocazione sempre più turistica di questo territorio richiede a nostro modo di vedere un esame anche dei collegamenti della Valsoana con Rivarolo e Torino.
Ci auguriamo che la revisione delle linee dei bus operanti nella provincia torinese possa tenere conto delle nostre considerazioni e che il progetto del GRANPARADISOBUS possa trovare riscontri positivi.

28203F2D-4B38-48D9-9594-488173A111E7
IMG_1251

Simona Appino

Agricoltura

LE GIUSTE RICHIESTE DEGLI AGRICOLTORI EUROPEI

Circa trent’anni fa, in una giornata di dicembre quanto mai gelida, scendemmo a Torino con i nostri e tantissimi altri trattori. Un’iniziativa nata per difendere l’intera categoria dai prezzi troppo bassi dei prodotti agricoli imposti dal mercato, le quote latte e le difficoltà del settore. Al fianco di mio padre, sul nostro “Fendt favorit”, vidi Torino in una dimensione che mai più avrei dimenticato. A volte, ancora oggi, quando attraverso Piazza Castello mi ritrovo a pensare al colpo d’occhio di quelle centinaia di trattori sotto al Palazzo della Regione, al latte svuotato dai bidoni davanti al maestoso portone d’ingresso. Nonostante il momento drammatico ricordo, però, la speranza e la concretezza delle nostre aziende, dove il problema maggiore era di riuscire a produrre in quantità e qualità.

In questi giorni, forse per la prima volta, gli agricoltori di buona parte d’Europa protestano insieme e a gran voce. Lo scenario a distanza di tanti anni è completamente diverso: non c’è un solo problema, perché questa crisi, che ha investito le aziende, riguarda tutti i settori del comparto. Si combatte contro le avversità atmosferiche, contro gli animali selvatici, contro l’aumento dei costi di gasolio (per ora agevolato), dei mangimi, dei concimi, ma soprattutto si chiede un prezzo stabilito dei prodotti che le aziende agricole vendono. Un prezzo sotto la cui soglia non si deve scendere.

Il mercato è talmente volatile che si rischia di non rientrare dei costi necessari per le semine. Inoltre, il mercato della carne sintetica, del latte artificiale, della farina di insetti e dell’invasione dei campi fotovoltaici generano lo spauracchio più grande perché, se non regolato, potrà invadere i mercati senza particolari resistenze.

Si dovrebbe far crescere la consapevolezza nei consumatori verso l’acquisto di prodotti sani, certificati e sulla loro provenienza, dedicando il giusto tempo (che purtroppo spesso non abbiamo) per leggere le etichette dei prodotti.

La cultura del cibo in Italia è stata una delle nostre ricchezze per secoli. Impariamo a cercare sugli scaffali i prodotti italiani, la pasta, la frutta e verdura a km 0 e faremo un grande favore non solo agli agricoltori, ma anche e soprattutto all’ambiente: cioè a tutti noi.

Agricoltori
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

Ambiente

COMUNITA' ENERGETICHE - PARLIAMONE

Uno degli obiettivi che ci poniamo come “Canavese al Centro”, non l’unico ovviamente, è quello di portare all’attenzione del territorio, dei suoi cittadini, delle associazioni e delle Istituzioni argomenti, idee, suggestioni che possano essere stimolo per la costruzione di nuove opportunità. La crescita dal basso e il coinvolgimento sono il nostro modello, abbiamo bisogno di raccogliere idee e abbiamo bisogno di divulgarle, di fare in modo che si creino momenti di confronto, approfondimento e collaborazione, anche per questo Vi chiediamo di iscrivervi all’HUB Canavese al Centro www.canavesealcentro.it dobbiamo accrescere insieme la consapevolezza delle potenzialità del nostro Canavese e valorizzarne i talenti.
Come spesso ripetiamo “fa più rumore una pianta che cade che una foresta che cresce”.
Oggi vogliamo portare alla Vostra attenzione le CER Comunità Energetiche Rinnovabili, ne vogliamo parlare adesso perché recentemente la Commissione europea ha dato il via libera al decreto italiano di incentivazione alla diffusione dell’autoconsumo di energia da fonti rinnovabili è una notizia abbastanza recente ed essendo il tempo un fattore determinante abbiamo ritenuto fosse bene parlarne.
Le comunità energetiche rinnovabili sono nuove configurazioni all’interno del sistema elettrico europeo. Hanno un ruolo fondamentale nel processo di transizione energetica del Paese e apportano numerosi benefici di carattere ambientale, sociale ed economico.
Per dare una definizione sulla base delle normative europee, la comunità energetica è un nuovo soggetto giuridico, basato sulla partecipazione volontaria di imprese, persone fisiche o amministrazioni comunali, che si pone come obiettivo quello di creare benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità attraverso la produzione di energia collettiva, che nel caso delle comunità energetiche rinnovabili deve provenire appunto da fonti rinnovabili.

In altre parole, le CER sono soggetti giuridici autonomi basati su un sistema “a rete” che attua una condivisione dell’energia tra i diversi soggetti partecipanti: Comuni, Aziende, Cittadini.

Già il fatto che questa iniziativa incorpori più aspetti: quello ambientale, quello economico dato dalla quota di energia autoprodotta e dalle agevolazioni che questa modalità prevede e non da ultimo quello sociale per cui è previsto nel modello un aiuto alle persone in difficoltà economica definisce questa iniziativa come estremamente importante. Se poi si guarda alla platea coinvolta: cittadini, aziende e amministrazioni comunali, ecco che si percepisce come la definizione di Comunità trovi il giusto perimetro e come la necessità per i soggetti di lavorare in rete ed in modo sinergico possa essere estremamente sfidante per un territorio.

Non sono progettualità semplici, richiedono il coinvolgimento da un lato dei cittadini, dall’altro delle aziende e soprattutto la capacità delle amministrazioni locali di saper cogliere e coordinare questa opportunità guardando anche alle generazioni future.

La sollecitazione che ci permettiamo di suggerire alle amministrazioni comunali è quella di organizzare dei momenti di coinvolgimento per far conoscere meglio il modello delle Comunità Energetiche Rinnovabili agli imprenditori e ai cittadini. Potrebbe essere un ulteriore palestra per mettere da parte i campanili e lavorare come un territorio coeso.

In canavese ci sono le adeguate competenze, cerchiamo di capirne di più, verifichiamo se sia una opportunità da cogliere anche per non dire poi un domani … “potevamo pensarci prima”.

CER Comunità Energetiche Rinnovabili_001
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

Cultura

MOBILITIAMOCI PER IL GRUPPO CANAVESANO DEI “SANTI FRANCESI” A SANREMO

In effetti sono di parte e questo invito rivolto ai Canavesani è spudoratamente di parte.
Tra qualche settimana inizierà il rito di Sanremo, e mi rivolgo a tutti, sia a quelli a cui piace sia a quelli a cui non piace, mi rivolgo ai singoli e ai diversi organi di stampa locali.
Penso sia la prima volta che un gruppo musicale con origini Canavesane sia tra i protagonisti di questa avventura e ritengo che, per quanto possibile, vada supportato da tutto un territorio. Certo i gusti sono gusti, le sensibilità e le età degli ascoltatori diverse ma non possiamo dimenticare il fattore di appartenenza ad un territorio il nostro “Canavese”.
Il gruppo è quello dei “Santi Francesi” sono giovani, per me bravi, scrivono dei bei testi e delle belle musiche, e in una sfida in cui anche il pubblico da casa può avere il proprio peso si troveranno a confrontarsi con dei big della musica italiana e anche per questo avranno bisogno del supporto di un territorio che li ha visti nascere e crescere.
Un po’ di sano orgoglio canavesano non guasterebbe affatto; quindi, l’invito è quello di mobilitarsi almeno un po’ per far sapere attraverso i media locali ed i social che loro saranno su quel palco e nei giorni del festival supportarli con il voto da casa. Chissà che l’impegno di ognuno di noi non possa fare la differenza.
Raccogliamo la sfida e mobilitiamoci per supportarli.
Stay tuned !
Canavese al Centro – Beppe Pezzetto

Santi Francesi – Sanremo
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

Economia

CENTRO ITALIANO PER L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE – L’INVITO DI “CANAVESE AL CENTRO” A FARE SISTEMA DI TERRITORIO

Come “Canavese al Centro” proviamo a mobilitare il territorio cercando di stimolarne le potenzialità contribuendo allo sviluppo di una rete fatta dalle molte realtà organizzate presenti sul Canavese e dalle singole competenze, informando, condividendo, e confrontandoci con l’ambizione di contribuire a tracciare nuove traiettorie capaci di cogliere utili opportunità per il nostro Canavese conviti che “l’unione faccia la forza” e che “fa più rumore una pianta che cade che una foresta che cresce”.
Abbiamo recentemente letto che è partito l’iter di costituzione del futuro Centro Italiano per l’Intelligenza Artificiale e che avrà sede in Piemonte. Da quanto si è appreso sono già state avanzate alcune manifestazioni di interesse per mettere a disposizione gli spazi adatti ad ospitare questa importante realtà nazionale: la Fondazione Crt con gli spazi delle Ogr, Tne per l’area di Mirafiori MRF Industrial Hub e tra le candidature anche quella del Comune di Ivrea che potrebbe accogliere, mantenendo la sede principale su Torino, i laboratori del nuovo Centro negli spazi degli ex stabilimenti Olivetti, luoghi dove l’intelligenza artificiale si è respirata sin dalle sue prime forme di sviluppo.
A nostro giudizio il Canavese, non per campanilismo, ma per vocazione, ha tutte le carte in regola per ottenere un adeguato spazio in questa importante assegnazione che potrebbe fare da volano a ulteriori significativi sviluppi in un settore come quello dell’Intelligenza Artificiale in costante crescita.
In questo contesto come “Canavese al Centro” invitiamo tutti gli stakeholder ad attivarsi agendo come una positiva lobby di territorio affinché si possano creare le giuste condizioni per essere scelti, costruendo delle alleanze capaci di coniugare le istanze presenti nella Città di Torino a quelle canavesane. Un modello di sinergia tra territori che aveva egregiamente funzionato per le Olimpiadi invernali coniugando le diverse potenzialità.
È una sfida che non possiamo permetterci di non affrontare da subito. Facciamo squadra per portare a casa il risultato.

E05EC93C-89B0-437F-9FB7-56A5C7FA9EA8
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

Cultura

GLI AUGURI DI “CANAVESE AL CENTRO” AI CANAVESANI

Siamo giunti al termine di questo 2023, un anno che possiamo leggere per il nostro territorio con prospettive diverse. Alla “communty” di Canavese al Centro piace leggerlo con occhi curiosi e prospettive positive, guardare il bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto con la consapevolezza che i margini di miglioramento sono fortunatamente molti e che sentendoci convintamente parte di una realtà territoriale dalle grandi potenzialità, insieme, dobbiamo dare il nostro contributo per creare nuove prospettive di crescita, coesione e sviluppo.
Lentamente come una foresta che cresce abbiamo raccolto e condiviso idee e suggestioni, abbiamo valorizzato i successi delle nostre imprese, dei nostri sportivi e dei nostri musicisti. Valorizzato il territorio e le iniziative sostenibili che stanno nascendo e continueremo a farlo.
Dobbiamo stimolare i talenti che abbiamo, le loro idee, mettere a disposizione del territorio le tante competenze presenti e metterle in rete.
Per fare questo abbiamo bisogno della partecipazione di tutti Voi e per questo Vi invitiamo a iscrivervi attraverso il nostro sito www.canavesealcentro.it e a seguirci sui diversi canali social per ampliare la condivisione di idee, suggestioni e progetti.
Un grazie a tutti per l’impegno gratuito profuso in questo anno con tanti piccoli ma significativi gesti che messi insieme contribuiscono a costruire una nuova immagine del Canavese.
Auguri per un sereno Natale e un nuovo ed entusiasmante nuovo anno, Vi aspettiamo!
Lo staff di Canavese al Centro

050_Auguri_001
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

Cultura

UNA BELLA STORIA

Il periodo natalizio si presta a raccontare questa bella storia di amore per il nostro Canavese, per luoghi che sono diventati eccellenze riconosciute nel tempo non solo da chi lo vive ma anche da coloro che da fuori lo apprezzano e che fortunatamente sono sempre più numerose.
La notizia che lo storico Ristorante dei Tre Re che si affaccia sulla piazza principale della Città di Castellamonte continuerà ad avere un futuro non può che fare bene al nostro territorio.
Grazie ad una iniziativa di illuminati imprenditori locali questa importante istituzione continuerà ad essere un luogo non solo enogastronomico, abilmente condotto dallo chef Roberto Marchello, ma un riferimento per la storia e le tradizioni che da oltre 100 anni racchiude.
Il rischio che tutto questo si perdesse era più che reale, ma l’amore per la nostra terra ha spinto alcuni ad accettare questa sfida e a loro non può che andare la riconoscenza di un territorio intero.

Tre Re
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

Cultura

“SANREMO” CAPACI IN CANAVESE DI FARNE UN PUNTO DI FORZA?

La finalissima di Sanremo Giovani 2023 è alle porte: il prossimo 19 dicembre in prima serata su RAI1 scopriremo chi si aggiungerà ai Big in gara per la 74esima edizione del Festival di Sanremo. Cosa lega quest’anno il Festival della canzone italiana per antonomasia con il nostro Canavese?
Semplice e al contempo stupefacente: la partecipazione di due giovani gruppi canavesani a questa competizione!
I Santi Francesi e gli Omini, un allineamento di pianeti che certo ha nella sua coincidenza qualcosa di magico ma che scavando a fondo è figlio di qualcosa di più profondo e che da tempo cerco di evidenziare provando a collegare i diversi punti che nel tempo si sono rivelati sul nostro Canavese e che disegnano uno storytelling che andrebbe gestito, coltivato portato all’attenzione sviluppandone le potenzialità e che con un po’ di visione potrebbe diventare una ulteriore vocazione del nostro territorio.
Da amministratore ricordo un fiorire di iniziative musicali legate dal claim “IN CANAVESE C’E’ ROBA” un patrimonio di volontari appassionati che organizzavano eventi connessi tra di loro, fatti bene, in modo professionale. Alcuni sono fortunatamente ripartiti ma altri credo abbiano bisogno di nuova linfa e di nuovi inneschi, ne ricordo alcuni, probabilmente non tutti: Apolide, Borgiallo Blues Festival, Ingria Woodstock Festival, Tavagnasco Rock, Generator Party, Miscela Rock Festival, Frassi Beer Festival, Coppa Rock, talent locali come Telekomando, un gruppo di DJ che si sono ritrovati in Disco Vintage, o musicisti come Johnson Righeira che ha scelto il Canavese come luogo in cui vivere e creare.
Eventi a cui hanno partecipato band sconosciute poi diventate conosciute, altre che hanno segnato diverse generazioni, altre ancora che hanno dato la possibilità ad un numero enorme di giovani di esibirsi, anche qui ne ricordo alcune: The Jab (oggi Santi Francesi), Pinguini Tattici Nucleari, Cosmo, Eugenio in Via di Gioia, Persiana Jones, Antinomia, Woodoo Dolls e tanti altri, senza ovviamente dimenticare la giovane band degli Omini.
E questa vocazione parte da molto più lontano, almeno dagli anni ’70 con concerti costruiti alla meglio senza l’organizzazione e le tecnologie attuali ma che fiorivano nelle nostre diverse cittadine.
Abbiamo sicuramente vocazioni come territorio più consolidate: il verde canavese, una lenta ma progressiva vocazione al turismo, quella industriale e perché no sviluppare anche quella musicale nelle varie sfaccettature, essere luogo in cui si può venire a far musica, ad ascoltarla anche questo può diventare volano per nuove forme di economia caratterizzandoci.
Certo una sfida non semplice ma le sfide non sono mai semplici, occorre avere una visione d’insieme che guardi oltre, che provi a legare Istituzioni, sponsor, giovani, e le diverse competenze e professionalità che già abbiamo. A mio giudizio una sfida da cogliere.

Santi Francesi_Omini
151CBDA3-4B04-4C2A-AA6F-CC3D112455F4

Elisabetta Tamietti

Agricoltura

PRIMA C’ERA IL GHIACCIO ORA C’E' IL VINO

Ho avuto l’opportunità di partecipare a vari incontri organizzati da Morena Stories su vari temi relativi al Canavese, ma quello sul vino che viene dai ghiacci è stato sicuramente molto interessante, accompagnato da una degustazione a cura del presidio Slow Food , organizzato dal Consorzio Turistico Valli del Canavese, con la presenza delle eccellenze del territorio.
Prima c’era il ghiaccio ora c’è il vino, immagine quanto mai poetica e vera. Si è parlato di vino, del suo terroir, di vigne antiche coltivate dai nostri nonni come nutrimento o per accompagnare il pasto, un vino duro, come dura era la vita di allora.
Geologi e Sommelier ci hanno fatto analizzare il territorio e scoprire che un vinacciolo è stato trovato in Canavese, sopra Pont, risalente all’ Età del Bronzo 1500 a.C. Già nel 1606 Gian Battista Croce, grande osservatore della viticultura Canavesana nel suo libro “Eccelenza e diversità dei vini” ci descrive le varietà del vino in uso, a quei tempi, e le forme della coltivazione delle vigne su questi particolari terrazzamenti caratteristici del territorio canavesano.
Poi le vigne vengono abbandonate e oggi rinascono di vita nuova con vini pregiati. Sicuramente ancora lontani dal fenomeno “Langhe”, ma il terroir canavesano ne esce vincente sia da un punto di vista climatico che dalla natura del terreno stesso, forse quello che manca ancora è un po’ più di vero e sano associazionismo canavesano.
Tra le Morene del Canavese, terre di una linfa nata dall’abbraccio tra alba e sole, si sviluppa l’ambiente ideale per un vino che gode del lento appassimento dei suoi chicchi, il passito.
Si racconta che chicchi di passito venivano anticamente offerti agli avventori come simbolo di benvenuto. Oggi il Canavese vanta 71 produttori di Erbaluce. Vitigno autoctono che già i Salassi coltivavano e vinificavano e che venne anche gradito in età romana venendo chiamato Albalux, per collegare il nome al colore giallo oro degli acini che brillano al sole autunnale, si ritiene che il nome attuale derivi da questo.
Il nostro territorio e i prodotti locali sono i nostri migliori biglietti da visita, non ci resta che credere in ciò che abbiamo e valorizzarlo trasmettendo il nostro entusiasmo ai turisti che verranno a scoprirlo e un grazie va agli organizzatori di queste belle opportunità di crescita e formazione estremamente utili per noi operatori e non solo.

Erbaluce_004
Renzo Revello

Renzo Revello

Cultura

LA MUSICA PULSA IN CANAVESE

Raccontare un evento dove si è stati attori protagonisti è difficile, in quanto si rischia di scadere nell’autocelebrazione; le cose però sappiamo che non nascono da sole, ci sono dei percorsi, delle sinergie, magari anche non manifeste, ma che indirizzano un percorso. Pertanto, è bene tornare ad un momento dello scorso autunno in cui con Beppe Pezzetto si organizzò un momento di confronto sul tema della musica in Canavese, ospitato online da QC Quotidiano Canavese.

Parlammo di come la musica sia sempre stata una manifestazione della creatività del nostro territorio, e di come sarebbe significativo, come ulteriore elemento coinvolgente e di promozione, sfruttare anche questa direttrice, per crescere.

Nel corso dei mesi successivi DiscoVintage (l’associazione no-profit di speaker e disc jockey canavesani) ha lavorato anche in questa direzione, con la partecipazione e l’organizzazione di una serie di presenze musicali e di racconti in varie cittadine canavesane, da Agliè a Rivarolo, a Castellamonte per la serata conclusiva della 62ma Mostra della Ceramica.
Proprio nel preparare il format di questo evento, il legame con manifestazioni musicali importanti sul nostro territorio è tornato a galla, ricordando soprattutto le edizioni della Mostra della Ceramica degli anni ’60 in cui ci furono presenze di interpreti musicali di portata nazionale, e poi anche l’epopea delle Due Rotonde di Cuorgnè, che ospitarono concerti di grandi artisti, a partire dai Genesis nel 1972.

Quando gli organizzatori di questa recentissima Vinyl, appena conclusa all’ex Manifattura di Cuorgnè, primo salone internazionale del vinile, della radiofonia e del collezionismo, vale a dire l’Associazione Attività e Commercio di Cuorgnè, insieme all’Amministrazione Comunale, hanno affidato a DiscoVintage la Direzione Artistica dell’evento, abbiamo messo insieme le competenze diverse all’interno del gruppo, ed è nato il format che abbiamo presentato.

Certamente il cosiddetto “anchor tenant”, per usare un termine mutuato dal mondo commerciale, doveva essere la mostra mercato, e il compito era rendere soddisfatti gli espositori per allestimento e ritorno economico; ma volevamo offrire un qualcosa che le altre fiere di settore, anche di grande prestigio e respiro internazionale, non offrono.
Quindi ecco le collezioni private di memorabilia del mondo della radiofonia e della riproduzione musicale, che si univano alla sensazione magnifica che offriva essere all’interno di un luogo denso di emozioni e ricordi per molti, e simbolo affascinante di archeologia industriale riconvertito per utilizzi diversi.

E poi, il pensiero che tutto ciò offriva un’esperienza principalmente settoriale, per i più appassionati, e quindi ecco che si è pensato di creare dinamismo attraverso momenti riempitivi, coinvolgendo operatori musicali del Canavese, e anche chi agisce in ambiti artistici e letterari diversi dalla musica ma legati ad essa.
Sono nati i Music Talks, chiacchiere di musica, ma dando una diversa interpretazione al titolo in inglese, la musica parla. Sì perché la musica è cultura, è costume, è cambiamento, quindi ci parla.
Abbiamo voluto portare questi esponenti del mondo musicale vicini ai visitatori, far raccontare le loro storie; e così sono arrivati altri fruitori dell’evento che forse non avremmo avuto.
Persiana Jones e Johnson Righeira hanno fatto da traino: ma dobbiamo ricordarli tutti, da Alex Carrera a Fra3C, da Barbara Boffa a Pamela Guglielmetti, da Stefano Girolami ad artisti che hanno un’anima internazionale e una componente canavesana, come i londinesi d’adozione Nefeli on Clouds, o i piemontesissimi (anche canavesani) Primovere, ascoltati oggi con regolarità nelle radio britanniche.

Poi in DiscoVintage ci sono soggetti che hanno loro cose da raccontare, e quindi si è giocato in casa, portando sul palco a parlare di radio, come era, com’è e come sarà due grandi esperti come Mauro Monti e Luigi Genesio “Gene”, una delle voci storiche della radiofonia in Italia, e Giancarlo Ghibaudo “Red” che ha raccontato l’anno cult della musica moderna, il 1973. E poi, il duo Datta & De Stefani, con il racconto del loro sodalizio artistico, dal negozio in Ivrea di De Stefani (Disco International, che serviva radio e discoteche di tutto il Piemonte e non solo), alle produzioni e ai successi su vinile a livello internazionale, alla loro “never ending story” come disc jockey (ci tengono alle parole intere, e non al semplice “d-j” , perché si identifica una formazione ed una storia di eccellenza).

Il pentolone di idee era pieno, poi l’Associazione Attività e Commercio ha voluto mettere “l’ombrellino nel bicchiere con il cocktail”, e voilà è arrivato anche il Party Vintage, con un allestimento mozzafiato da parte di Nightlife che ha riportato tutti negli anni ’70-’80, con tanto di mirror ball e tunnel di luci psichedeliche fantastiche.
E quanti vestiti a tema…Bellissimo.

Insomma, cose proposte molte, visitatori molti, e importantissimo, uscivano con buste di dischi.
Perché certo, tutto bello, l’ambiente, le proposte, la cortesia dello staff degli organizzatori e del nostro Giancarlo Ghibaudo “Red”, vero P.R. nei confronti degli espositori: tutto bene, ma se poi non c’è il ritorno economico, gli espositori non li vedi più.
Ed invece, a quanto pare, vogliono tornare in Canavese, perché evidentemente è stata positiva la loro esperienza anche a livello commerciale, ed hanno tutti manifestato l’apprezzamento per la cortesia e l’efficienza che il nostro territorio, partendo da Cuorgnè, ha loro offerto.
Poi, la visita del Ministro Pichetto Fratin ha dato un tocco in più, in aggiunta al patrocinio ricevuto da parte della Regione Piemonte.

Insomma, la panna l’abbiamo montata nei mesi passati, ma è stata apprezzata.
Qualche piccolo aggiustamento.
E ci si vede a Vinyl 2024.

Disco Vintage
0FB86347-53B4-4A84-A2E7-296B5D6FB7A8

Ombretta Bertoldo

Cultura

OLISTICO

Qualche settimana fa si è tenuto a Forno il Festival Olistico

Il termine “olistico” è piuttosto utilizzato nella storia recente; deriva dal greco ὅλος, cioè ‘tutto, intero, totale’ e porta con sé un significato profondo nelle sue applicazioni a discipline e pratiche. Spesso è anche abusato e usato impropriamente: in ambito aziendale mi è capitato anche di sentir parlare di management olistico, vedendo molto entusiasmo, ma poche volte un’interpretazione coerente.

Al di là delle sfumature e della competenza specifica, trovo che sia fantastico che un festival olistico, di per sé prodotto nuovo, si sia organizzato proprio a Forno, paese della tradizione, dal retaggio industriale forte e dal presente in divenire.

Quello che mi ha colpito è stato il contrasto: parlare di benessere, spirituale e fisico, far provare esperienze, avvicinare ad una visione dell’essere umano concepito come unità di corpo, mente e spirito, inserita in un determinato ecosistema per cercare il ben-essere totale sfruttando luoghi di tradizione e mentalità totalmente diverse.

E così, la cosiddetta Ex Area Obert che, nell’epoca d’oro dello stampaggio a caldo era una fabbrica prosperosa, ha ospitato sessioni di campane eoliche e terapia del gong. Scendendo per la via principale del paese, i visitatori chiedevano dove fosse la “Casa del Popolo”, edificio citato in Wikipedia come “la casa del fascio dell’eccidio del 1943”, per unirsi ai gruppi di yoga e suono, tra i tanti.

Se l’approccio olistico richiede all’individuo di partecipare attivamente, di prendere consapevolezza di sé e mettersi in discussione per arrivare alla salute completa attraverso il cambiamento, allora il messaggio lanciato a Forno è ancora più importante.

Talvolta, sono proprio i contrasti e gli ossimori, affascinanti e potenzialmente disturbanti per definizione, a promuovere un cambiamento. Penso che sarebbe bello promuovere sempre più momenti diversi di conoscenza, scambio, cultura, sperimentazione per valorizzare i nostri luoghi, che si portano addosso un passato importante e, spesso, sono alla ricerca della costruzione di un futuro che non è ancora così ben definito.

Mi verrebbe da citare il motto “un popolo che non ricorda il proprio passato è un popolo senza futuro”, a cui aggiungerei la considerazione per cui è bello costruire il futuro partendo dalle idee, dalle tradizioni e senza aver paura di sperimentare e innovare. Tutto questo in un ecosistema interessante, poliedrico, che funziona bene come contenitore di energia e innovazione unite alla tradizione.

graphic-07
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

Economia

CONVERGENCE CANAVESANA

Ho avuto l’opportunità di partecipare ad una bella iniziativa organizzata da alcuni imprenditori canavesani e dalla Confindustria del Canavese in quel di Rivarolo e più precisamente nella frazione Argentera.
In un bel sito messo a disposizione dall’impresa Baudino Service, è andato in scena il primo CONVERGENCE (l’unione tra tecnologia meccanica ed eccellenza) in cui si sono potute ammirare i prodotti di diverse imprese locali che hanno presentato ad un numeroso pubblico la reale convergenza tra idee innovative e competenze.
Un bel segnale di vivacità delle nostre imprese che interpretano nell’adattività una strada per innovare prodotti e processi e prepararsi a nuove sfide.
Erano presenti anche diversi Sindaci Alberto Rostagno di Rivarolo, Marco Succio di Agliè, Walter Sandretto di Valperga, il Consigliere Comunale di Torino Giovanni Crosetto, il direttore della Confindustria Daniele Aibino, e la direttrice del CIAC Cristina Ghiringhello. Imprenditori, amministratori e formatori che nei loro brevi interventi hanno tutti parlato di futuro e già questa di per sé è una bella notizia.
Possono sembrare piccoli segnali, ma sono a mio giudizio fondamentali e soprattutto dimostrano la vivacità di un territorio che molto può ancora offrire. Bravi.

IMG_1950
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

Cultura

IL CANAVESE AD ALBA NELLE LANGHE

Domenica scorsa ho avuto l’opportunità di essere ospite della Fiera internazionale del Tartufo bianco d’Alba, una giornata interessante in cui il Canavese si è presentato in questa importante kermesse, grazie, all’instancabile lavoro dei Sindaci delle “Tre Terre del Canavese”. Un evento in cui ho ancora una volta constatato le potenzialità del nostro territorio, questa volta in una terra, quelle delle Langhe, con molte affinità con le nostre terre, ma che ha saputo riscoprire negli ultimi decenni la propria vocazione come già avevo scritto in un mio precedente articolo dal titolo “Cunevesani” e da cui dovremmo trarre ispirazione.
Già nel viaggio verso Alba dialogando con Peppone Calabrese (il conduttore di Linea Verde ormai Canavesano d’adozione) ho ulteriormente accresciuto la consapevolezza delle molte opportunità del Canavese che spesso vengono più colte da chi ci osserva da fuori e di cui dovremmo avere una maggior consapevolezza.
Di fronte ad un nutrito pubblico ho assistito ad un workshop in cui sono stati presentati e fatti degustare alcuni prodotti della nostra terra e oggettivamente hanno raccolto un notevole successo, questo grazie alla lungimiranza di tre Sindaci del territorio: Pasquale Mazza (Castellamonte), Andrea Zanusso (San Giorgio) e Marco Succio (Agliè) a cui si è aggiunto il Sindaco di Caluso Mariuccia Cena, il tutto nell’ambito del progetto del Festival della Reciprocità delle Tre Terre del Canavese, un progetto che abbraccia i territori in tutte le sue peculiarità e tradizioni sia enogastronomiche che artigianali.
Ed ecco che come per magia sono stati cucinati e proposti al numeroso pubblico alcuni dei sapori e delle tradizioni canavesane: “Faseuj e quaiette” con le “piattelle” di Cortereggio un fagiolo presidio di Slow Food, preparate nella Tofeja di Castellamonte e servite in terrine e piatti sempre della Città della ceramica, il nostro “salam ‘d patata”, i nostri formaggi, e poi i dolci della nostra tradizione, gli “amaretti morbidi”, i “torcetti”, i biscotti “della duchessa” e i nocciolini di “Chivasso”.
Il tutto abbinato con delle selezioni speciali di “Erbaluce” di Caluso: fermo, bollicine sino ad arrivare al passito senza dimenticare il “Nebbiolo” di Carema, il tutto servito dai bravissimi e preparati ragazzi dell’Istituto di Istruzione Superiore “Carlo Ubertini” di Caluso.
Ascoltare gli apprezzamenti sinceri ai nostri prodotti nella terra del tartufo e del vino, mi ha riempito il cuore e suggerito che, come canavesani, dobbiamo proseguire sulla strada della valorizzazione di quanto abbiamo, che spesso sottovalutiamo, ma che in realtà è davvero molto.

Il Canavese nelle Langhe
7F191577-D43F-44A6-BEB8-B93483D136B1

Fabrizio Bertoldo

Cultura

CONNESSIONI INTERNAZIONALI IN CANAVESE

Finalmente anche in Canavese è arrivato Ted, il sistema internazionale per condividere idee innovative ha raggiunto il nostro territorio e ha stimolato menti e spiriti.
Nella cornice affascinante del castello di Agliè si sono susseguiti i discorsi di sei persone interessanti, tutte con l’obiettivo di raccontare la reciprocità sul territorio. Alessia Refolo, Filippo Rizzante, Maurizio Mariani, Vittorio Garda, Patrizia Paglia e Fabrizio Serra hanno dimostrato che il nostro territorio è terra di coraggio, innovazione, ricerca, sogno, prosperità e solidarietà che vivono tra loro grazie alla reciprocità che si crea tra questi.
Ted è un’organizzazione no profit che ha come obiettivo diffondere idee di valore. Nata negli anni Ottanta negli Stati Uniti ha facilmente raggiunto ogni parte del mondo per il suo metodo diretto e molto efficace di comunicare. L’obiettivo è stimolare le persone e creare connessioni per intraprendere nuove azioni.
Il tema è stato, appunto, la reciprocità sul territorio, sviluppato da canavesani per il Canavese anche grazie al progetto delle Tre Terre Canavesane promosso dai comuni di Castellamonte, San Giorgio e Agliè.
Gli interventi sono stati registrati e verranno pubblicati su Youtube oltre che tradotti in oltre cento lingue.
E pensare che la volontà di creare tutto questo è partita da quattro giovani appassionati, supportati da Ted, e da un gruppo nutrito di collaboratori, giovani anch’essi.
Parlarci, ascoltare e nutrire le idee è la formula per superare le difficoltà e gettare in avanti i semi che diventeranno grandi piante.
Auspichiamo di poter partecipare ad altri Ted canavesani e aumentare i legami e la reciprocità in Canavese, terra di persone, di idee e di azione.

TEDX
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

Ambiente

CAMMINO D'OROPA CANAVESANO - OPPORTUNITA' PER IL TERRITORIO

Seguendo il refrain proprio anche del nostro HUB Canavese al Centro, “Fa più rumore una pianta che cade che una foresta che cresce”, nel nostro Canavese continuano a svilupparsi iniziative rivolte alla promozione del territorio nel tentativo di posizionarlo su uno scacchiere più ampio cercando di valorizzarne potenzialità molto spesso sconosciute o sottostimate addirittura da chi il territorio lo vive.
Questa volta vorrei portare alla vostra attenzione una potenzialità alla portata di tutti che in altre parti del continente è stata elemento capace di attrarre turisti da ogni parte del Mondo e citandone una sicuramente capirete di cosa sto parlando: “Il Cammino di Santiago di Compostela”.
In questi giorni, presso il Santuario di Belmonte, mi è capitato di partecipare alla presentazione di un bellissimo filmato voluto dall’ Associazione degli “Amici di Belmonte”, filmato che in quaranta minuti evidenzia le bellezze paesaggistiche e culturali dei numerosi Comuni che si trovano nel solco di un importante “cammino religioso” nel quale, da poco tempo, anche il nostro Canavese è entrato a far parte. Chiese con architetture e affreschi bellissimi dei quali, ammetto, in parte non conoscevo neppure l’esistenza, un patrimonio da aprire ai turisti che farebbe invidia a molti, con una cultura e una storia alle spalle incredibile. Un tesoro che ci ritroviamo tra le mani senza neppure saperlo.
Unendo i puntini dei tanti luoghi sacri quasi magicamente appare un percorso che centinaia di viandanti o pellegrini nei secoli scorsi percorrevano a piedi e che era parte di una via reale e spirituale ben più estesa.
Lungi da me ricondurre questo tipo di turismo religioso al mero aspetto economico, ma certamente in altri luoghi la capacità di valorizzare e far conoscere questo patrimonio unito alla richiesta crescente da parte di tante persone di scoprire e raggiungere mete immerse nella natura e nella cultura alla ricerca di nuove forme di turismo sempre più sostenibili diventa una opportunità anche di sviluppo economico che sarebbe da stolti non cogliere.
Ecco grazie all’intuizione di alcuni, e al loro impegno quotidiano, anche il Canavese ha riscoperto il proprio “cammino” che si innesta in quello ben più ampio del “Cammino di Oropa”.
Nell’era digitale non occorre molto sforzo per saperne di più, e neppure per diffondere il verbo: le cose solide vanno costruite dal basso, con costanza, con tanto tempo da dedicarci, ma tutti possono dare il proprio contributo allo sviluppo di questo progetto anche solo facendolo conoscere.
Qui di seguito alcuni riferimenti per conoscere meglio quello che in queste poche parole ho provato velocemente a descrivervi, perché, ribadisco il motto “Fa più rumore una pianta che cade che una foresta che cresce”.
www.camminodioropa.it
Trailer “Il Cammino di Oropa Canavesano”

camminoropa-mappa-completa-compressed-uai-720×509
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

Economia

LOCALISMO STRATEGICO

LOCALISMO STRATEGICO
Ho avuto recentemente l’opportunità di organizzare un momento di confronto e di scambio di opinioni su una ipotesi di modello di sviluppo elaborato e poi anche riportato in un libro da un Canavesano, Giancarlo Buffo, imprenditore e già Sindaco della Città di Rivara.
Di seguito poi riporterò un sinottico del concetto portato all’attenzione dei partecipanti all’incontro.
Da subito però ho trovato, forse per “forma mentis” o per l’interesse che la geopolitica ha sempre in me suscitato, o forse meglio per l’aver saputo porre l’accento con geografie diverse e anche da prospettive diverse su una ineludibile trasformazione in atto negli ultimi decenni nell’economia, nella finanza, nell’industria e quindi nel lavoro e nella società che merita non solo di essere analizzata ma su cui è necessario individuare nuove vie, nuove strategie, in modo particolare per questa parte del mondo occidentale che per troppo tempo è rimasta rinchiusa in una sorta di “comfort zone”.
È tempo di “Quadrare il cerchio” come diceva Ralf Dahrendorf che riportava sotto il titolo tre concetti estremamente attuali: “benessere economico”, “coesione sociale” e “libertà politica”.
Ritengo che momenti di confronto, discussione, approfondimento siano più che mai necessari in una società sempre più superficiale che non consente di sedimentare e sperimentare idee ma che spesso procede a slogan seguendo, neppure anticipando, il vento che soffia, ed anche per questo è nato l’Hub Canavese al Centro.
Quindi questo canavesano ha già un primo merito: quello di aver dedicato tempo per sviluppare concetti potenzialmente utili anche alle nostre comunità.
Il secondo di aver portato all’attenzione in modo semplice e chiaro cambiamenti che sono in atto e che se non governati avranno impatti non sempre positivi.
Quindi il mio invito è quello di leggere questo saggio, non pensando che tocchi sempre ad altri ma con la consapevolezza che ognuno di noi deve partecipare al cambiamento.
“Localismo Strategico. Un modello da proporre nelle sedi internazionali e nazionali per contribuire in modo autorevole e significativo ad un riassetto degli equilibri, in una prospettiva capace di superare la crisi attuale e determinare nuovi indicatori e regole del Governo internazionale. Occorrono nuovi paradigmi su cui ancorare i destini dell’Europa e dei Paesi Occidentali, un nuovo modello di sviluppo che consenta a famiglie ed imprese una nuova dimensione sociale che dal locale guardi a orizzonti globali. In questa direzione il Localismo perderebbe quel suo ruolo di marginale contrapposizione, di retroguardia per la tutela delle identità, per assumere quello di laboratorio per nuovi equilibri condivisi dalle singole realtà.
Localismo Strategico, ovvero capacità delle comunità locali (intese in senso ampio anche come Nazioni) di generare risorse e valore aggiunto, mettendo a frutto le potenzialità presenti nei singoli Paesi”.

Localismo Strategico
0B076983-EBCD-4F44-A021-4BF34A4A6109

Vittorio Bellone

Sport

ANCORA GRANDE CICLISMO IN CANAVESE

Quando il grande ciclismo arriva in Canavese è un po’ come se arrivasse a casa. Per la passione che anima la popolazione di questo angolo di Piemonte, ma anche per la storia, come quella di tutte le edizioni del Giro d’Italia che sono passate di qui.

In questa estate abbiamo avuto la fortuna di vivere già altre emozioni che questo sport ci sa donare, abbiamo vissuto l’entusiasmo della Città di Salassa che ha ospitato nel mese di luglio la partenza di una tappa del Giro d’Italia femminile ed è stato un tripudio di gente e colori grazie all’impegno di molti, di tante associazioni del Sindaco Roberta Bianchetta che ha saputo cogliere la sfida propostagli dall’Assessore Regionale Fabrizio Ricca.

Ma una grande classica tutta per noi, con partenza e arrivo in Canavese non l’avevamo ancora vissuta. Per questo sarà un onore accoglierla e soprattutto sarà bellissimo viverla. È un’occasione unica e straordinaria sia per gli appassionati di questo meraviglioso sport sia soprattutto per il nostro territorio – Favria e tutto il Canavese – che ancora una volta sarà teatro di una grande competizione internazionale. Perché il Canavese è una terra di valore e di valori, che lo sport e il ciclismo contribuiranno a mostrare al mondo. Un’opportunità che non avremmo potuto cogliere senza l’impegno della Regione Piemonte e la passione, per lo sport e per il territorio, ancora una volta dell’assessore Fabrizio Ricca, al quale va il nostro sincero ringraziamento. In attesa di fare il tifo il prossimo 5 ottobre, tutti insieme, per i campioni del Gran Piemonte 2023, per il Piemonte, per il Canavese.

Outdoor_001
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

Ambiente

ESSERE MOBILITIVI

Recentemente ho avuto l’opportunità di essere inserito tra i relatori di un interessante convegno presso la Confindustria di Ivrea dal titolo “Attrattività e mobilità, una sfida pubblica e privata”. Un punto di partenza interessante da cui vorrei provare sinteticamente a fissare alcuni aspetti di un argomento vasto e in continua evoluzione che può essere leva importante per lo sviluppo del nostro territorio: per la qualità della vita, l’attrazione e la creazione di posti di lavoro e di nuova economia sia residenziale che turistica.
La parola da cui partire per sviluppare il pensiero è: mobilità.
Che fosse fondamentale il poter connettere luoghi più o meno distanti per scambiare merci, far incontrare culture e divulgare conoscenza si perde nella notte dei tempi, ed i Romani (quelli di Giulio Cesare) ne furono maestri collegando a Roma, senza troppa tecnologia, luoghi sparsi in diversi continenti, mentre i romani, quelli attuali, faticano a muoversi nella loro Città.
L’evoluzione è cresciuta rapidamente soprattutto negli ultimi secoli, dalle carrozze si è passati alle automobili, dai galeoni ai transatlantici, dai treni a vapore a quelli a levitazione magnetica, da Icaro ad aerei supertecnologici e così via … ampliando gli orizzonti e dopo la Luna puntando su Marte ed oltre.
Ma in attesa che il Capitano James T. Kirk ci sveli i segreti del “Teletrasporto” dobbiamo occuparci seriamente di sviluppare qui, con i piedi ben piantati sulla nostra terra, nuove soluzioni, nuovi modelli che ci consentano per quanto possibile in modo “sostenibile” di rendere più semplice e sicuro lo spostamento di merci e di persone tra le varie comunità.
Questo problema è cresciuto in modo esponenziale in quelle parti del mondo che vengono definite “evolute” perché purtroppo in altre ci sono donne che devono ancora oggi percorrere decine di chilometri a piedi per potersi permettere una brocca d’acqua.
Da noi quello che viene definito benessere, figlio della globalizzazione, ha accresciuto lo spostamento di cose e persone, basti pensare alla frutta che troviamo sulle nostre tavole e che attraversa quotidianamente l’oceano o ai corrieri Amazon che riempiono di imballi le nostre case, spesso di cose inutili.
Il sistema è complesso ed è sempre più interconnesso, e basta la chiusura di un punto d’accesso, ad esempio il traforo del Monte Bianco, per mandarlo in crisi. Fortunatamente anche l’ingegno umano con nuove tecnologie sta rapidamente sviluppando nuovi modelli di mobilità sostenibile inimmaginabili sino a poco tempo fa, è un settore in rapida evoluzione, ma di questo parleremo in successivi articoli.
Perché anche le nostre comunità, come quelle del Canavese, dovrebbero essere più sensibili all’argomento e conseguentemente portare queste istanze con maggiore convinzione anche all’attenzione delle Istituzioni?
I motivi sono molteplici e riguardano ognuno di noi: una migliore connessione delle nostre comunità consentirebbe al nostro territorio di essere più attrattivo, di far spostare talenti e investimenti presso le nostre imprese consentendogli di crescere qui, creare nuove opportunità di lavoro e non delocalizzarsi.
Consentirebbe al settore del turismo di essere più appetibile per quella fetta di mondo che è alla ricerca di luoghi da raggiungere anche e soprattutto con modalità di spostamento sostenibile.
Attirerebbe nuova residenzialità e quindi nuova economia.
Occorrerà però anche un cambiamento culturale, che fortunatamente è in atto soprattutto nelle nuove generazioni, sui fondamentali delle modalità con cui ci si muove, dovremo tutti in qualche modo essere più adattivi, anche rivedendo le nostre abitudini.
Per guardare avanti ogni tanto occorre anche ricordarsi del passato, all’inizio del ‘900 una filovia “elettrica” collegava Ivrea a Cuorgnè. Possiamo fare qualcosa di concreto e fattibile da subito? Iniziamo con l’insistere affinché si porti a compimento l’elettrificazione della linea ferroviaria Torino – Pont Canavese anche nel tratto da Rivarolo a fondo valle, è un mio cavallo di battaglia da molti anni e continuo ad essere convinto che non si debba mollare la presa in questo ultimo miglio!

Settimana della Mobilità
IMG_1251

Simona Appino

Agricoltura

A COME AGRICOLTURA

“L’agricoltura sembra molto semplice quando il tuo aratro è una matita e sei a mille miglia da un campo di grano”.
Questa frase scritta dal Presidente Eisenhower è quanto mai attuale se osserviamo lo stato della nostra agricoltura attuale.
Come tante piccole barche sballotate in un oceano troppo grande le nostre aziende agricole faticano a mantenere la barra dritta.
Per una serie di cause alcune climatiche alcune economiche altre dovute al proliferare di animali selvatici rimane ben poco alle nostre aziende per far quadrare i magri bilanci.
C’è da dire che sono molti i bandi del P. S.R. messi in campo per sostenere le aziende negli investimenti ma possono bastare per tenere in piedi le aziende quando poi ci troviamo con il latte venduto in stalla a neppure 50 cent, tanto per fare un esempio?
Dai dati presenti sul sito regionale un timido dato positivo per indicare le aziende prese in mano da giovani con meno di 40 anni c’è ma basterà per tenere in piedi il comparto?
A mio avviso servirebbe una consapevolezza decisamente più sentita dai nostri politici per sostenere il settore primario con una programmazione a lungo termine sostenendo e aiutando gli agricoltori con aiuti più mirati e snellendo una burocrazia sempre più asfissiante.
Basteranno gli appelli delle associazioni di categoria?
Intanto come c’è stato insegnato, andiamo avanti sicuri come sempre che la terra non tradirá mai e tutti gli altri?

Grano o Silicio
0FB86347-53B4-4A84-A2E7-296B5D6FB7A8

Ombretta Bertoldo

Creatività

LA BANCA DEL TEMPO DEL CANAVESE

Chi saprebbe rispondere alla domanda: “se potessi esprimere un desiderio, che cosa vorresti avere?”. Domanda apparentemente semplice e banale, che si presta a varie interpretazioni. In questi ultimi mesi ho trovato una ricerca interessante a livello nazionale commissionata da una nota banca che, tra i risultati, porta i dati sulle “cose che contano” per gli italiani. Ai primi posti ci sono la famiglia e i figli (63% del campione), la salute (48%), ma anche i viaggi (44%) e una percentuale del 37% cita “il tempo per riflettere, migliorarsi, accrescere la propria cultura”.

Non è una novità parlare del tempo; citando Seneca: “Il tempo non è poco, ma ne sprechiamo tanto”.

Quindi, tempo come risorsa preziosa, sempre più ambita, spesso utilizzata per fini individuali. Si pensa mai a poter utilizzare il tempo per altri, a scambiarlo e, visto che è così prezioso, ad usarlo in alternativa al denaro?

La risposta è sì, c’è chi ci pensa e, addirittura, chi fonda le “Banche del Tempo”. Ne abbiamo un esempio qui da noi: la Banca del Tempo del Canavese, fondata a Rivarolo da soci di diversi paesi. Sono sempre stata incuriosita da questa realtà e, da due anni, ne faccio parte come socia.

Le Banche del Tempo sono organizzate come istituti di credito in cui le transazioni sono basate sulla circolazione del tempo, anziché del denaro. Un iscritto al circuito offre un servizio a un altro iscritto. La più grande differenza con le banche classiche è che non si maturano mai interessi né in passivo né in negativo. L’unico obbligo che si ha è il pareggiamento del conto.

Lo scopo è creare uno scambio circolare e gratuito di saperi e servizi, una vera e propria economia circolare in cui ciascuno mette a disposizione quello che sa fare nella rete e viene ripagato con le ore di qualcun altro.

Vi assicuro che, quando mi è venne chiesto la prima volta cosa potessi mettere a disposizione e, dunque, scambiare, ci misi un po’ a dare le risposte! In effetti, probabilmente siamo più orientati a pensare a cosa vorremmo avere più che a quello che potremmo dare. Non per egoismo, ma perché neanche siamo consapevoli di quello che potrebbe avere valore per gli altri.

Questo concetto mi fa pensare che, al di là della finalità “da Statuto” della Banca del Tempo, ce ne sia un’altra, più sommersa e di immenso valore: pensando a ciò che si può condividere, ognuno mette in campo le proprie energie e potenzialità, quei saperi potenzialmente importanti per chi li riceve e che donano nuova consapevolezza e sicurezza psicologica a chi li offre.

Credo che sia così che nascono le reti di aiuto reciproco, che tanto fanno bene al territorio. Pensiamo al nostro, in cui un’associazione come la Banca del Tempo può raccogliere le esigenze degli abitanti della zona, che possono scambiare idee, abilità, competenze e far crescere quel senso di condivisione, che è una luce nell’ombra di tempi molto votati al produrre e all’arricchirsi.

Ad oggi, gli associati in Canavese sono circa 50, in crescita. Le ore scambiate o date dal 2019 sono 856, di cui 99 quest’anno e vanno dai corsi di lingue alle visite ai musei, dalle gite ricreative ai corsi di yoga, ma comprendono anche l’aiuto a stirare, a fare la spesa, a trovare un passaggio in auto per recarsi in ospedale. Le attività di scambio possono essere innumerevoli, tante quante sono le idee, i bisogni e i desiderata che s’incontrano.

Tornando alla domanda di apertura, “cosa vorresti avere?”, bhe, se sei tentato di rispondere “più tempo” prova a pensare anche al tempo che puoi guadagnare scambiando il tuo con quello di altri.

Se desideri approfondire puoi farlo sulla Pagina Facebook della Bdt del Canavese, via email bancadeltempocanavese@gmail.com e sul sito nazionale, www.associazionenazionalebdt.it.

Banca del Tempo del Canavese
Giovanni Ellena

Giovanni Ellena

Ambiente

LA MAMMA VA SEMPRE ASCOLTATA

Sono un ciclista, un po’ più praticante prima, un po’ meno ora. Un sogno nel cassetto, vedere il mio Canavese strutturato con delle piste ciclabili.
Ma di quelle degne di essere chiamate così, non di quelle farlocche che fanno comodo in campagna elettorale ma inutilizzabili per quello che è il loro vero scopo.
Il vero scopo? Togliere il ciclista dalla strada, per la gioia degli automobilisti frettolosi, ma, soprattutto per garantire la sicurezza alla parte debole.
Si potrebbe scrivere e discutere per ore sulle motivazioni di utilizzare un mezzo così ecologico, dal puro divertimento, al farlo per una visione futuristica, anche solo egoistica; un corpo mantenuto in salute garantisce una migliore vecchiaia, con i dovuti risparmi sulle spese sanitarie. Oppure semplicemente perché non se ne ha un altro per spostarsi.
Da un po’ di tempo cerco di capire quali siano i progetti, cosa si farà a livello politico.
C’è movimento, comincia ad esserci sensibilità, però mi rendo conto che ci vorrà tempo, molto tempo, metto in conto che forse sarò vecchio quando l’equilibrio auto, bici potrà dirsi discreto. Mi rassegno all’attesa.

Poi, d’incanto, ricevo un messaggio sui social. Il messaggio di una mamma. Lo riporto qui sotto. Dovrebbero leggerlo tutte le amministrazioni. Il futuro ce l’abbiamo in casa, sono i nostri bimbi. Su le maniche subito, non c’è tempo per le attese burocratiche. I nostri bimbi devono poter crescere in autonomia , non essere iper-protetti per paura di esporli a pericoli gestibili.

Qui sotto il messaggio ricevuto:

“Buonasera Sig. Ellena, spero non sia un disturbo che La contatti cosi dal nulla, ma vorrei condividere qualche pensiero con Lei e creare un potenziale dialogo. Mio marito ed io abitiamo con i nostri figli in Canavese. Ci siamo trasferiti due anni fa, dopo aver vissuto tanti anni all’ estero. Noto con grande dispiacere la mancanza dei marciapiedi e delle ciclabili nella nostra zona. Il dispiacere non è solo per il puro fatto che devo prendere sempre la macchina per spostarmi, ma anche per la limitazione di libertà nello spostamento dei nostri figli. Senza spazi sicuri nei quali i bimbi possono andare in bici, rimangono dipendenti ad essere portati in macchina quasi ovunque. Quello fa anche si, che i bimbi non imparino bene a muoversi nel traffico”.

Outdoor_001
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

Creatività

SCOPERTE CURIOSE IN UN AGOSTO CANAVESANO

Oggi vorrei condividere con Voi alcune piccole curiose scoperte che da canavesano rimasto sul territorio durante il mese di agosto ho avuto in modo casuale l’opportunità di incrociare.
Tre piccole “chicche”, che sicuramente ne nascondono altre decine a noi sconosciute dietro alle quali si celano delle peculiarità che in qualche modo mi piace pensare traggano origine da quello spirito canavesano, creativo, ma riservato, innovativo ma al tempo stesso legato alle tradizioni, alle nostre spesso sottovalutate potenzialità. Un modo per spingervi a guardare il bicchiere mezzo pieno e non sempre mezzo vuoto.
#1 Lo scatto
La prima riguarda una piccola borgata di Sparone che si chiama Vasario, una storia su cui ci si potrebbe scrivere un racconto perché lo “storytelling”, come si usa dire oggi, potrebbe essere in grado di attirare in quei luoghi molti curiosi.
Scovo il primo indizio leggendo il quotidiano “La Stampa” in cui mi imbatto in un articolo dal titolo: “Sparone, l’ultimo telefono a scatti: è la salvezza della nostra borgata” dove scopro che a Vasario esiste un Circolo gestito da dei giovani (è questo già di per sé è un aspetto positivo) in cui si trova un telefono a scatti, unico modo per coloro che si trovano in quella zona per comunicare con l’esterno; nessun segnale per i cellulari e tanto meno connessioni con internet.
Se hai bisogno di chiamare vai nel circolo, componi il numero non con il touch screen ma inserendo il dito in una rotella (una cosa sconosciuta alle nuove generazioni, si direbbe “vintage”). Sulla base del tempo si stimano gli scatti e dopo aver telefonato lasci l’obolo.
La notizia inizia a girare sui social e come una palla di neve rotola e diventa sempre più grande. La comunicazione spesso prende vie impensabili.
Qualche giorno dopo rientrando in auto da Torino (o da Milano, non ricordo) mi imbatto su Radio24 in una intervista, mi pare di riconoscere la voce dell’intervistato ed ecco che la storia di un telefono a scatti in una borgata di Sparone è diventata oggetto di un dibattito che evidenzia come molte persone gradirebbero passare un po’ di tempo in un luogo di montagna, nel verde, al fresco e senza la possibilità di essere raggiunti dalla digitalizzazione (certo, magari si potrebbe trovare una soluzione che mantenga quel “mood” di romanticismo ma consenta altresì di avere un minimo di connessione).
Finita l’intervista radiofonica telefono all’intervistato, di cui avevo il numero, e scopro che la storia ha già attirato in loco diversi turisti curiosi. Direi un’operazione di marketing inaspettata che ha funzionato e che partendo da uno “scatto” ha fatto scoprire a diverse persone un luogo delle nostre valli. Pare che la piccola frazione sia stata molto apprezzata e qualcuno abbia già detto che sicuramente tornerà. Questo dimostra ancora una volta le potenzialità inespresse del nostro Canavese: certo, piccole cose, ma su cui si può lavorare.
#2 Il Gelato
Ricevo la telefonata di un amico di Torino, che mi chiede informazioni su una gelateria di Cuorgnè, vuole sapere se è aperta perché ha letto su un giornale che fanno dei gelati con dei gusti particolari e vorrebbe venire appositamente per assaggiarli.
Abitando a Cuorgnè faccio un salto in quella gelateria gestita da un giovane abile artigiano del gelato, e scopro un numero di gusti particolari che valorizzano il territorio, fatti artigianalmente con prodotti a chilometro zero e con nomi che richiamano al nostro territorio, li legano a dei luoghi, a delle materie prime. In poche parole, se li vuoi assaggiare devi venire in Canavese. Ne cito solo alcuni: Fichi di Valperga, Ortica di Cuorgnè, Fior di fieno della Valle Sacra, Fior di latte Cascina di Ciconio … Li prendo, li assaggio e, credetemi, sono spettacolari.
Se un abitante di Torino è disposto a venire in Canavese per assaggiare dei gelati tipici, direi ,anche in questo caso, tanto di cappello al maestro gelataio. La morale è che abbiamo materie prime, prodotti e artigiani con il giusto spirito di innovazione che possono fare la differenza.
#3 I Gormiti
Scendendo da Belmonte mi fermo con mia moglie e con degli amici per bere qualcosa nel bar di Prascorsano. Nel tavolo a fianco un bravo musicista canavesano mi saluta e poi mi presenta un ragazzo che è originario del luogo e che credo sia tornato per il periodo estivo. Scopro che è stato colui che ha inventato i “Gormiti”, una linea di personaggi immaginari che, mi spiegano gli altri amici, ha fatto impazzire diversi genitori nella ricerca dei personaggi per i loro figli: ancora una volta non posso non pensare alla creatività canavesana.
A questo punto Vi inviterei a segnalarci altre piccole storie canavesane, sicuramente poco conosciute, che in qualche modo rappresentino o possano rappresentare sulla falsa riga di quelle esposte le potenzialità del Canavese e della “Canavesità” inviandocele a info@canavesealcentro.it , chissà non si riesca a farle conoscere.

Gelato Canavesano
593AC5BC-5994-4165-B096-D51F22C9D6C2

Andry Verga

Cultura

GIUSEPPE TARRONE, IL “MAGNIN” DI SPARONE

La scorsa settimana, precisamente lunedì 7 agosto, ci ha lasciati Giuseppe Tarrone classe 1930, di Sparone.
Il Canavese perde così un pezzo della sua storia, anche se mi piace pensare che la sua storia in realtà rimarrà fortemente ricordata, scritta e filmata.
Ricordata perchè Giuseppe era amato non solo da tutta la sua famiglia ma anche da tutti gli abitanti della valle. Scritta, perchè molti giornalisti e scrittori (Marco Peroni su tutti) lo hanno intervistato e ben raccontato tra le “maestrie canavesane” d’eccellenza. Filmata, perchè ho avuto la fortuna lo scorso anno di entrare nel suo mondo, nel mondo del “magnin”, del calderaio e realizzare questo video che testimonia un lavoro che sta scomparendo e Giuseppe ne è un testimone assoluto.
Ricordo bene quel giorno, è il 1 dicembre 2022 e l’appuntamento con Giancarlo, il figlio di Giuseppe, è fissato alle 8:30 difronte alla chiesa del paese.
Sparone per chi non lo sapesse è un piccolo comune della Valle dell’Orco a nord del Canavese, confinante con Alpette, Locana e Pont Canavese per citarne alcuni. Giancarlo mi porta a vedere l’antica Fucina dei Mestoli alle spalle del Parrocchiale di San Giacomo. Si, perchè Sparone è sempre stato un paese di “magnin” e calderai ovvero di persone specializzate a lavorare uno dei più antichi metalli nobili, il rame. In passato erano attive decine di fucine e opifici, i magli sono ancora visibili oggi e per secoli a Sparone si fondeva il rame, lo si lavorava e si faceva commercio di pentole, padelle, secchi e utensili vari.
Ci dirigiamo poi verso la casa di Giuseppe, a pochi passi dal centro del paese, vedo già il fumo uscire dal piccolo camino della forgia.
Giuseppe quella mattina è già attivo nel suo laboratorio e io accendo la telecamera.
Sono tante le emozioni… forse perchè mio nonno faceva anche lui il fabbro, forse perchè anche lui si chiamava Giuseppe, forse perchè l’arte di creare qualcosa con le proprie mani mi ha sempre affascinato. E poi c’è il fuoco, un’attrazione atavica.
Giuseppe ha 92 anni non è solo un artigiano o un lavoratore del rame, ma è un artista.
Per ore continua a raccontarmi la sua vita e il suo mestiere con semplicità, con lucidità e sopratutto con quel sorriso di chi la vita l’ha vissuta fino in fondo, tra le persone che gli hanno voluto bene e un mestiere che si è trasformato in una testimonanza di fatica, di impegno e dedizione che solo quella generazione ha portato avanti.
Il resto è racchiuso in questo video che vuole essere un omaggio a quello che era Giuseppe Tarrone.
Ringrazio ancora Giancarlo, che mi ha accolto con grande generosità e Marco Peroni che mi ha portato a conoscenza di questa grande figura che ricorderò per sempre.
Allego a questa testimonianza il link al filmato che ho da poco reso pubblico sulla mia pagina youtube (@andryverga). Questo filmato fa parte di un progetto più articolato chiamato Arti & Mestieri, dove “arti” sta anche per la parte terminale del braccio, ovvero le mani. Le mani che lavorano, che costruiscono e che creano.
Sono perone che raccontano il loro lavoro, sono artigiani che credono nella loro passione, sono artisti che vivono e rappresentano il Canavese.

Arti & Mestieri
Riprese e regia: Andry Verga
Voce narrante: Lorenzo Freglio
Grafiche: Luca Imerito

Link: https://youtu.be/c2J_sVP8_Rk

Giuseppe Tarrone_ (002)
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

Cultura

TRE TERRE CANAVESANE

Come “Canavese al Centro”, e qui mi permetto di invitarvi ad iscrivervi sul sito www.canavesealcentro.it , proviamo anche a evidenziare iniziative che prendono forma nel nostro territorio e che non sempre sono conosciute ai più. L’idea è anche quella di far vedere il bicchiere mezzo pieno, tentando di infondere un po’ di sano ottimismo, perché l’erba del vicino non sempre è più verde.
Oggi volevo segnalarvi un bel progetto che giorno dopo giorno sta crescendo nel nostro Canavese e che potrebbe essere un modello da copiare per altre Comunità.
Parlo delle “Tre Terre Canavesane” di cui da subito per darvi una sintetica idea di cosa si tratta, per chi già non lo conoscesse, riporto presentazione trovata nel sito www.treterrecanavesane.it che vi invito a visitare.
“Il progetto Tre Terre Canavesane si fonda su un protocollo d’intesa triennale tra i comuni di Agliè, Castellamonte e San Giorgio Canavese, nell’ottica di attuare un programma di sviluppo del tessuto economico produttivo locale, nel quale i Comuni si impegnano a coordinare le attività di organizzazione di eventi, di promozione turistica, di marketing territoriale e turistico. L’accordo tra i tre comuni si è sviluppato sin dal 2015, in occasione dell’Expo internazionale di Milano, e successivamente sviluppato e migliorato. I comuni delle Tre Terre Canavesane si impegnano a definire la programmazione turistico-culturale-enogastronomica del Territorio, individuando congiuntamente iniziative strategiche per la valorizzazione e la promozione, consolidando e strutturando la collaborazione tra i comuni delle Tre Terre Canavesane, svolgendo azioni di animazione e comunicazione per il coinvolgimento degli operatori privati e contribuendo all’organizzazione di una offerta turistica integrata adeguata alle tendenze di mercato.
I comuni intendono inoltre supportare in modo organizzato e coordinato l’organizzazione di eventi e di proposte a valenza turistica”.
Grazie alla visione coesa e alla lungimiranza dei tre Sindaci (Agliè, Castellamonte e San Giorgio) il progetto è cresciuto molto negli ultimi anni, è riuscito a progettare percorsi che non solo hanno attratto risorse e turisti ma cosa per nulla scontata è riuscito a portare all’esterno una nuova immagine positiva del nostro Canavese. Tre Terre Canavesane sta diventando un modello di attrazione che cresce in contenuti, idee, qualità e quantità.
Solitamente quando una cosa funziona sarebbe bene copiarla, e qui mi permetto di lanciare una proposta alle altre comunità che insistono su quello che è per tutti identificato come Canavese.
Perché non provare a replicare quel modello su altri territori, mettendo insieme a tre a tre, comuni che abbiano contiguità territoriale, comprendendo da chi è già partito prima: modalità, criticità, ricadute positive ecc. … Sarebbe bello veder fiorire diverse “Tre Terre Canavesane” e poi chissà magari dare delle linee guida comuni, mantenendo le singole specificità, ma ottimizzando molte cose a partire dall’immagine verso l’esterno, perché no, sotto una comune denominazione “Terre Canavesane”, una sorta di regia comune.
Essendo poi stato anche amministratore, mi permetto di suggerire ai tre colleghi Sindaci che stanno portando avanti in modo coeso ed efficace questo progetto una cosa che sono certo abbiano già considerato.
Fortunatamente, lo dico perché è una delle prerogative della nostra democrazia, le amministrazioni per volere dei cittadini e per norme che ne stabiliscono la durata, passano, e non sempre l’allineamento dei pianeti che si è trovato in questa occasione con una visione d’intenti tra le tre amministrazioni è detto che duri nel tempo, ma quando l’idea è buona a mio giudizio va preservata e occorre dargli la possibilità di crescere, per questo forse varrebbe la pena individuare una forma giuridica che le consenta di continuare a prescindere da chi governerà le diverse comunità.
Ancora complimenti per quello che state facendo per il Canavese.

Tre Terre Canavesane_001
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

Cultura

INUTILE PIANGERE SUL LATTE VERSATO

Ci sono state almeno due vicende che hanno lasciato un po’ di amaro in bocca in questi ultimi due mesi a noi canavesani, o quantomeno a coloro che a diverso titolo le hanno seguito e vissute, e che rischiano di lasciare sul campo recriminazioni, polemiche e inutili divisioni e rancori.
È “inutile piangere sul latte versato” è forse meglio trarre insegnamento da quanto successo, rivedere le modalità con cui si sono affrontati gli argomenti e stabilire alleanze più coerenti coinvolgendo anche altri soggetti nelle scelte che riguardano il futuro del nostro territorio.
Per usare un paragone, il campionato è ancora lungo, e le partite da giocare ancora molte, passare il tempo a recriminare su un fallo subito invece di tornare ad allenarsi, finirà per fare il gioco degli avversari.
Adesso vorrete però sapere di cosa sto parlando.
Mi riferisco al trasferimento, spero temporaneo, di quella che è la più importante manifestazione musicale-culturale del nostro territorio a Collegno: “l’Apolide Festival” e della vicenda che per semplicità chiameremo “Ospedali”.
È probabile che molti di Voi non conoscano il festival di cui sto parlando, anche se è nato vent’anni fa dalla sana voglia di aggregare e sentire musica da parte di un gruppo di giovani intraprendenti, poi crescendo nel tempo, nell’organizzazione, nei contenuti è diventato un riferimento nazionale, ed ha iniziato anche a creare opportunità di lavoro. In sintesi, è quello che a parole molti predicano e pochi riescono a fare. Un’idea che con fatica e sacrificio si è trasformata in una gran bella realtà. Nonostante questa breve spiegazione molti di voi continueranno a non sapere di cosa si tratta, altri staranno rimpiangendo il fatto di non averlo potuto vivere in Canavese quest’anno, altri ancora penseranno che la cosa non li interessi affatto.
In realtà la cosa dovrebbe interessare tutti noi canavesani, a prescindere se per età, gusti, attitudini ci si senta o meno partecipi alla cosa. Deve interessare tutti noi per molti motivi ma sicuramente per uno in particolare. Questo evento da lustro al nostro territorio, porta l’immagine del Canavese oltre i soliti confini, aiuta a caratterizzare il territorio (ed in un prossimo articolo cercherò di meglio esplicitare come la musica possa essere uno dei fattori attrattivi per il verde Canavese) e quindi genera direttamente o indirettamente una economia sul territorio. Questo dovrebbe bastare per lasciare un po’ di amaro in bocca a tutti noi.
La vicenda “Ospedali” è certamente più complessa ed articolata, la Sanità Pubblica lo è per definizione e da tempi immemorabili non soltanto qui da noi. Ridurla a una guerra per bande locale è a mio giudizio un errore che non porta da nessuna parte, o meglio la porta da altre parti.
Non esiste una ricetta magica, certamente in un mondo ideale i più importanti portatori di interessi dovremmo essere noi cittadini.
Ora per chi non fosse al corrente di quanto successo, probabilmente meno di quelli dell’Apolide Festival ma personalmente non penso poi così molti, provo brevemente a sintetizzare.
Da tempo immemore si discute della necessità di avere un Ospedale più efficiente e adatto ai tempi, sul territorio che sostituisca quello di Ivrea che paga la collocazione e il tempo che è passato dalla sua origine.
Dopo anni di discussione, un numero notevole di luoghi in cui si sarebbe potuto fare, restano sul tavolo 2 ipotesi: Montefibre (nel Comune di Ivrea) e quella che è chiamata area Ribes (nel Comune di Pavone), non mi dilungo sulla esclusione nel tempo di altri luoghi, non ho le competenze, ho delle mie idee come tutti Voi, ma direi che ognuno deve fare il proprio mestiere.
La scelta del luogo ha “spaccato” le amministrazioni del territorio Canavesano in due fazioni che hanno battagliato a lungo: quella dei Comuni di quello che viene chiamato il Canavese Occidentale (appartenente ad una area omogenea definita dalla Città Metropolitana) e quello di una seconda area omogenea detta dell’Eporediese) questo in estrema sintesi. Evidenzio che le due aree omogenee unite definiscono quasi completamente il perimetro del “Canavese”.
Il pendolo nel tempo è oscillato da destra a sinistra per numerose volte (non è una allusione politica) e poi si è fermato sull’area Montefibre.
L’atro aspetto che riguarda il tema “Ospedali” si focalizza in primis su quello di Cuorgnè e poi su quello di Castellamonte.
Sicuramente abbiamo già dimenticato (diciamo che l’uomo tende a rimuovere le cose brutte che ha vissuto, forse inconsciamente per un senso di sopravvivenza) la Pandemia. Qui ci tengo a sottolinearlo perché vissuto in prima persona come amministratore, con degli “eroi” che l’hanno combattuta tra le mura dell’Ospedale di Cuorgnè.
Bene alcune notizie apparse recentemente sui giornali hanno ipotizzato una privatizzazione di questo nosocomio, che pur disponendo di un pronto soccorso nuovo al momento è sottoutilizzato.
Anche in questo caso non entro nei particolari delle discussioni lette e sentite: mancano i medici e gli infermieri sì ma prima c’erano, no sono andati in pensione, si ma solo alcuni, hanno spostato i macchinari nuovi del pronto soccorso, non è vero, si è vero ecc. …
Credo sia evidente a tutti che le discussioni spesso sterili che dividono non servono a nessuno, ci si dovrebbe concentrare su quelle che uniscono.
Anche in questo caso ritengo sia inutile “piangere sul latte versato” e continuare a dividersi in fazioni non è sicuramente produttivo.
Chiudo con una proposta per affrontare quanto detto precedentemente cercando di portare a casa un concreto risultato, forse non il migliore ma sicuramente utile per tutti noi.
Per quel che concerne l’Apolide Festival è vero che abbiamo perso l’opportunità per quest’anno ma abbiamo un anno davanti per discutere, affrontare e risolvere i problemi che hanno costretto alla migrazione in altri luoghi. Gli enti preposti si trovino, affrontino il problema e sono certo che troveranno una soluzione. Tutti noi però restiamo sul pezzo, ognuno con le proprie prerogative perché una perdita definitiva sarebbe una perdita per tutti.
Sugli “Ospedali” la strada sarà sicuramente ancora lunga, ma come in ogni confronto o trattativa che si rispetti, da un lato non perseguiamo quella della divisione, ma ad esempio se la partita sul nuovo Ospedale è andata in un senso, gli altri (ma gli altri siamo tutti noi) chiediamo una reale e immediata compensazione del territorio che vada nel senso di potenziare l’Ospedale di Cuorgnè, cosa sicuramente più immediata a partire dal ripristino del Pronto Soccorso. Occorre mediare con tutti, lo scontro diretto non porta da nessuna parte.

politica
E565FDD3-AE16-4431-B53C-E23552889144

Silvia Leto

Ambiente

IL DEVOTO CAMMINO UNA SOLUZIONE “SLOW” PER VIVERE IL CANAVESE

Non tutti sanno che in Canavese passa un cammino devozionale che collega Piemonte e Lombardia lungo 705 km in 33 tappe per scoprire i Sacri Monti, siti Unesco dal 2003, e altre bellezze culturali, spirituali e naturalistiche. È un progetto per rendere percorribile integralmente quello che si presenta come il più grande sistema transalpino a “mobilità slow”, ovvero la rete della mobilità lenta pedonale e ciclabile per la fruizione del paesaggio enfatizzando il concetto di sostenibilità.
Il nostro territorio ha la fortuna di ospitare il Sacro Monte di Belmonte, luogo sacro risalente ai primi decenni dell’anno mille, quando sorse un monastero benedettino e un Santuario, dedicato alla Natività di Maria, che la leggenda vuole realizzato da Arduino, Marchese di Ivrea. La costruzione del Sacro Monte fu avviata solo nel 1712 per opera del francescano Padre Michelangelo da Montiglio che, reduce dalla Terra Santa, ideò il tracciato sul quale dovevano sorgere le 13 cappelle. Le architetture sono di un’unica fattura, semplice ed essenziale, e sono precedute da pronai dai quali si possono vedere le scene sacre. Le statue accolte al loro interno sono in terracotta di Castellamonte plasmate e dipinte ad opera di artisti e artigiani locali quasi tutti rimasti anonimi e spesso rimodellate e ricostruite sino agli anni iniziali del Novecento. L’intorno è caratterizzato da bosco in prevalenza di castagni, mentre nel sottobosco le specie più comune è la felce, ma a caratterizzare il territorio è la presenza di diffusi affioramenti di graniti rossi in parte compatti, in parte molto alterati in superficie, così da originare degli estesi depositi sabbiosi detti “sabbionere”.
Belmonte è la terza tappa di 70 km del Devoto Cammino, itinerario che dal Santuario di Oropa (Biella) giunge in terra Canavesana percorrendo una tratta che attraversa la Serra, definita “la più grande morena d’Europa”, in un paesaggio molto particolare e probabilmente unico, creato dal ghiacciaio baltico nel corso di milioni di anni. Il percorso può essere suddiviso in 3 tappe: Graglia, Ivrea, Belmonte. Da Graglia a Ivrea vi è un tratto molto gradevole e aperto: a monte le cascine e i pascoli che salgono verso le pendici della Colma di Mombarone (2312 m), davanti la regolare linea della Serra che sfuma verso la pianura; in basso i paesi della Valle Elvo e, tra i boschi, il lago creato dalla diga dell’Ingagna. Da Chiaverano si raggiungono le rive del lago Sirio, il più grande tra i laghi morenici della Serra, e da qui Ivrea, proprio sotto le “rosse torri” dello scenografico castello. La città è entrata nel 2018 tra i 54 siti italiani del Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, grazie al riconoscimento di “città industriale del XX secolo” per la storia della sua più importante industria: l’Olivetti.
Lasciata Ivrea, il Devoto Cammino passa sul versante orografico destro dell’Anfiteatro Morenico, che offre un territorio più gradevole, dalla piacevolissima esposizione. Il percorso è estremamente vario e divertente, tra storici borghi e abitazioni isolate, piccoli vigneti e frutteti. Attraversando i paesi di Colleretto Giacosa, Parella, Quagliuzzo e Strambinello, si scende nella valle del torrente Chiusella per raggiungere Ponte Preti, storico passaggio verso il Canavese occidentale.
Si continua poi verso Castellamonte, importante cittadina canavesana disposta a ferro di cavallo attorno al colle che ospita il castello. È un luogo famoso per l’antica tradizione della lavorazione della ceramica e in particolare delle caratteristiche stufe. La piazza principale è circondata dalla “Rotonda Antonelliana”, due muraglioni semicircolari che appartengono ad una grandiosa e incompiuta chiesa, progettata a metà Ottocento da Alessandro Antonelli, celebre architetto piemontese.
Il Devoto Cammino esce da Castellamonte percorrendo la Strada dei Sospiri e poi prende delle strade campestri e altre asfaltate per raggiungere il ponte sul fiume Orco. La strada sale subito verso il centro di Cuorgnè, avendo a sinistra il grandioso complesso dell’ex Manifattura Tessile, suggestivo documento di archeologia industriale, che testimonia l’importanza della città nel settore manufatturiero della lavorazione del cotone. Da Cuorgnè si giunge a Valperga, piccolo comune ai piedi del monte che ospita la riserva naturale di Belmonte in cui possiamo ammirare anche il Castello Medievale, antica sede dei Valperga, la Chiesa di San Giorgio, piccolo gioiello trecentesco con decorazioni di altissimo valore artistico e infine la parrocchiale della Santissima Trinità, realizzata nel 1749 e dell’adiacente torre campanaria opera dell’architetto Ludovico Bo, attivo presso il cantiere della palazzina di Caccia di Stupinigi.
Alzando lo sguardo verso l’alto si può finalmente scorgere il Santuario di Belmonte: il monte, la vetta che si eleva verso il cielo e con esso crea un contatto fisico. Simbolo della tensione umana verso Dio, in tutte le religioni, nonché percorso di ricerca spirituale che simboleggia lo sforzo umano per l’emancipazione dalle banalità terrene.
Un viaggio di pochi chilometri ma con tantissimi spunti che mettono il paesaggio in relazione con il contesto di vita delle comunità, con il proprio patrimonio culturale e naturale, fondamento della nostra identità. Una bella alternativa per vivere in modo ecologico e responsabile il turismo e vedere da altre prospettive un territorio che ha sempre tanto da offrire.

footer-06
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

Creatività

ALTO CANAVESE GAMES – FARE DAVVERO SQUADRA SUL TERRITORIO

Come “Canavese al Centro” non si poteva non parlare degli “Alto Canavese Games” che finalmente sono ritornati dopo la sospensione del lungo periodo pandemico, e l’edizione dell’anno in corso si è da poco conclusa nello splendido scenario del parco di Villa Ogliani a Rivara, Comune sede di questa edizione.
Per chi non sapesse di cosa si tratta un po’ di storia ripresa dal sito della manifestazione: “Gli Alto Canavese Games nascono sulla scia della Sfida dei 10 realizzata negli anni ’80 a Rivara. I primi Games vennero svolti a Prascorsano nel 2016 durante la festa d’estate organizzata dalla Pro Loco Prascorsanese, capitanata da Cristian Milano. Nel 2017 viene ripetuta l’edizione, visto l’entusiasmo del primo anno, ma Cristian realizzò fin da subito che questa era un tipo di manifestazione che avrebbe dovuto uscire dai confini prascorsanesi”. Una manifestazione che per chi se li ricorda riprende lo spirito dei “Giochi senza Frontiere” quello degli arbitri svizzeri “Gennaro Olivieri e Guido Pancaldi” e che ha tenuto incollati alla televisione almeno due generazioni di telespettatori.
Li, si sfidavano e facevano amicizia squadre di giovani e meno giovani provenienti dai diversi Paesi Europei, in uno spirito che certamente ha contribuito ad unire culture, lingue e tradizioni forse più che molte iniziative Istituzionali. Le squadre si sfidavano in giochi a volte semplici a volte stravaganti ma sempre divertenti e colorati.
Ecco, in Canavese, grazie all’intraprendenza di un gruppo di amici di una Pro Loco (associazioni che quando da amministratore e da cittadino hai la fortuna di avere nel tuo Comune, diventano un vero motore di aggregazione) ha rispolverato una intuizione sperimentata negli anni ’80 sul nostro territorio (la sfida dei 10) e con lo stesso spirito ha iniziato a coinvolgere un numero crescente di Comunità dell’Alto Canavese.
Le distanze chilometriche che separano i nostri Comuni non sono certo quelle tra i diversi Paesi Europei, la lingua (se si escludono le specifiche declinazioni dialettali) è la medesima, il cielo sopra di noi è lo stesso, così come il verde che ci circonda, ma anche qui, nel nostro Canavese, abbiamo estremo bisogno di incontrarci, di confrontarci, per riscoprire, ognuno certo fiero del proprio Campanile, di essere una squadra unica, un unico territorio. Gli Alto Canavese Games sono anche questo, un luogo di incontro.
Ecco oltre al divertimento, a un pizzico di sana competizione, e a molta goliardia, questa manifestazione, forse anche inconsapevolmente, è capace di unire generazioni e Comunità di un unico territorio direi più di tante riunioni “politiche” in cui spesso si abusa di frasi quali “fare squadra”, “fare sinergia”, e questo a mio giudizio è il vero successo di questa lodevole iniziativa che spero possa crescere, essere supportata (e invito potenziali nuovi sponsor a conoscerla) per coinvolgere un numero crescente di Comuni e cittadini del nostro territorio Canavesano).
Non posso che concludere questo breve commento con un plauso sincero da parte mia, agli organizzatori e a tutti coloro che in modi diversi (atleti, giudici, organizzatori, amministrazioni, sponsor, spettatori) ci hanno creduto, ci credono e sono certo ci crederanno negli anni a venire.
Se siete curiosi e volete saperne di più fate un salto sul sito www.altocanavesegames.it perché come si dice da queste parti “quando il gioco si fa duro i duri usano la carriola”.

AltoCanaveseGames_002
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

Politica

DOBBIAMO ESSERE ADATTIVI

Che la biglia di vetro con le sue diverse sfumature di colori prendesse sempre più velocità su un piano via via più inclinato era una sensazione nota a molti almeno sin dagli anni Novanta dello scorso secolo.
Alla velocità si è associata la pervasività dei cambiamenti che stanno a vario titolo lambendo tutti noi, chi più, chi meno, definendo nuovi confini e fissando punti di non ritorno.
Confini generazionali, sociali, etici e di consapevolezza su tematiche che sono rimaste sotto il tappeto per troppo tempo e che adesso emergono con una certa urgenza modificando paradigmi e abitudini che soprattutto alcune generazioni faticano a modificare: ambiente, digitalizzazione, migrazioni solo per citarne alcune. Tralascio di addentrarmi su argomenti afferenti a sfere più filosofiche o, per meglio dire, ad approcci personali alla vita, alle libertà individuali, spesso discusse più con slogan che con la volontà e la fatica di una seria e profonda analisi.
Abbiamo un po’ perso la voglia e anche la bellezza di discutere, di approfondire gli argomenti: la velocità sembra l’unica via di uscita o forse quella più semplice e meno faticosa.
Dopo aver rimosso rapidamente lo smarrimento, la paura, l’ansia generati dalla pandemia – da cui dovevamo uscire migliori, più uniti, più resilienti – ci siamo ritrovati ad abbracciarci più individualisti, più cinici, con una impensabile guerra nella nostra Europa, e con tensioni crescenti un po’ in tutto il globo. Non è andata proprio come alcuni speravano.
La tecnologia è diventata parte integrante della nostra vita: ai canonici sensi dell’uomo (vista, udito, gusto, tatto e olfatto) si è aggiunto lo “smartphone” che già al momento ne raggruppa due terzi, chissà in futuro.
Stanno cambiando i modelli sociali ed economici: dalla gestione del tempo al lavoro, dalla mobilità alle relazioni.
La musica è diventata digitale, la moneta anche, gli spazi per alcune tipologie di lavoro indifferenti, e chi più chi meno siamo tutti connessi. L’intelligenza artificiale sa più cose di noi di quante noi consapevolmente ne conosciamo. Questo non avviene in tutte le parti del mondo, in quello che si dice più evoluto ti portano il sushi a casa, in altre purtroppo si fatica a bere un bicchiere d’acqua. Ci sono conglomerati economici guidati da pochi che economicamente pesano più del PIL di una intera nazione. Direi che la cosa ci sia scappata un tantino di mano: mentre la politica si guardava l’ombelico qualche visionario puntava su Marte.
Per certi versi, comunque, segnali di un sano ritorno alla saggezza del passato soprattutto dalle nuove generazioni possiamo coglierli: abbiamo scoperto l’importanza delle api (senza di loro potremmo avere dei seri problemi ecologici), che è meglio una mela dell’orto sotto casa che una che arrivi dall’altra parte del Mondo (e si, le quattro stagioni non sono solo un tipo di pizza). Soprattutto dai millennials in avanti cresce la consapevolezza sul valore del tempo (e la cosa sta anche sollecitando la rivisitazione dei modelli di gestione del lavoro), sul fatto che le risorse qui sulla terra non sono infinite e che scherzare troppo con la Natura può creare seri problemi …
Insomma, stiamo vivendo un “allineamento dei pianeti” (che sono “sferici” a prescindere da quanto affermino i “terrapiattisti”) che ci richiede, come da sempre avviene in natura, una capacità di “adattamento” a cui non è possibile sfuggire: faticosa, ma anche stimolante. Certo, tutto questo non sarà indolore e modificherà lo “Statu quo”, ma aprirà sicuramente nuovi orizzonti e speranze soprattutto per quelli che verranno.
Insomma, possiamo decidere se essere parte di un nuovo “Rinascimento” o se restare rinchiusi nella nostra “comfort zone” anche qui da noi in Canavese.

Foliage
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

Ambiente

GRANO O SILICIO

Mi è capitato nelle scorse settimane, di guardare un servizio televisivo su una rete Nazionale che mi ha portato a riflettere sulle possibili distorsioni che si celano sotto la parola “Sostenibilità”.

Era un servizio che intervistava agricoltori sparsi un po’ lungo tutto lo stivale e tra questi ho riconosciuto un agricoltore del nostro canavese, ho rivisto nelle immagini i nostri luoghi ed ho realizzato che il problema di cui parlavano era più vicino a noi di quanto potessi pensare.

Lavorare la terra, nonostante l’evoluzione tecnologica è ancora un mestiere faticoso, un mestiere che si fa seguendo i ritmi della natura, ci si alza presto all’alba e si va a dormire tardi la sera, come si dice anche qui “la terra è bassa” e spesso il risultato di tanto lavoro è legato a fattori che non si possono controllare, grandine, siccità ecc. …

Conosco personalmente la persona canavesana intervistata, né conosco le capacità imprenditoriali, l’amore che mette nel suo lavoro, i sacrifici e il rispetto per la natura e per gli animali che sono la fonte del suo sostentamento, della sua famiglia e cibo buono per tutti noi.

Credo nell’innovazione e nella necessità di cambiare stili di vita per tornare a rispettare la natura, l’ambiente che ci circonda ma ascoltando il servizio televisivo ho capito che occorre affrontare il tema in modo onesto, valutando vantaggi e svantaggi e non riportarlo solo ad un mero calcolo economico.

Di cosa si parlava? Si parlava dei pannelli fotovoltaici che stanno “invadendo” i terreni agricoli, quelli in cui si semina il grano, si fanno pascolare le mucche … quella roba li. Una cosa semplice da immaginare, che ai più appare come una soluzione ottimale per trasformare l’energia del sole in energia elettrica, apparentemente senza impatti ambientali … ma solo apparentemente la somma fa il totale.

A molti proprietari terrieri, e non sempre sono gli stessi agricoltori, grossi gruppi multinazionali offrono cifre e guadagni importanti se quei terreni vengono trasformati in grandi impianti fotovoltaici, è l’economia di mercato.

Il problema sottostante, è che se la politica non trova un giusto equilibrio rischiamo che le terre coltivabili si riducano drasticamente e che il bestiame abbia spazi sempre più ristretti su cui poter pascolare.

Prima di quel servizio e del grido di allarme di quegli agricoltori non ci avevo pensato, adesso si e lo scenario che è stato presentato non è poi così affascinante. Fare il pane senza il grano o il latte senza mucche potrebbe essere un problema anche se avremo più energia green a disposizione … sono certo che si possano trovare altre soluzioni, forse meno redditizie nel breve, ma vincenti nel medio/lungo periodo e soprattutto sino a che qualcuno avrà ancora la voglia di lavorare la terra … che resta comunque bassa.

Grano o Silicio
Maria Burro

Maria Burro

Cultura

L'ERBALUCE E LO STATUS QUO

Da piccola vendemmiavo con la mia famiglia.
Andavamo tutti nella vigna dei nonni e, “cavagne” alla mano, si raccoglieva l’uva dell’anno che sarebbe diventata vino. Il nostro vino.
Sono certa che molti canavesani abbiano questo ricordo e, lo spero tanto, molti possano ancora vivere questi momenti, creando ricordi per i nuovi piccoli vignaioli.
Il vino che veniva fuori da queste giornate di lavoro, di condivisione e (per me) di grandi sorrisi, non era sicuramente un’eccellenza – ma andava bene così: era il frutto della passione più che della tecnica, delle conoscenze arcaiche più che dello studio accademico.
Era la necessità di raccogliere un dono della terra, più che un prodotto da vendere.
Una terra che, se la rispetti e la sai trattare, ti darà i suoi frutti.
Partiamo da qui: per molti di noi, il vino canavesano è quello lì, quello delle vendemmie con la famiglia.
Sono cresciuta sentendo dire dai canavesani che il nostro vino è ok, sì, ma non è poi granché.
L’avete notato? Non è sempre facile trovare il vino canavesano da acquistare.
Non è sempre facile sentirsi dire il nome della cantina, quando ordini un Erbaluce.
In molti posti non lo trovi neanche, l’Erbaluce.

Perché?

Eh, signora mia, perché ci sono tanti altri bianchi che arrivano da fuori.
Che l’Erbaluce è buono, va bene, ma non siamo le Langhe.
E il Carema non è il Barbaresco.
Ma è questo il punto: il Canavese non sono le Langhe.
Il Canavese è il Canavese: ha una storia complessa, che nasce da un ghiacciaio e viene plasmata dai venti e protetta dalle Alpi.
Tornando al vino, lo confesso: ho sempre pensato anch’io che i vini canavesani non fossero delle eccellenze.
Un po’ perché, obiettivamente, il lavoro da fare su questi vitigni e sulla lavorazione del vino è complesso, e un po’ perché il canavesano è così: nasce scettico su ciò che ha intorno.
Il Canavese è un territorio che ti porta a pensare che sia troppo difficile cambiare lo status quo, che “se si è sempre fatto così ci sarà un motivo”, ma allo stesso tempo non ti fa valorizzare davvero ciò che il territorio stesso ci offre.
Per questo ho sempre voluto provare a cambiare le cose e mi sono sempre interessata a chi vuole dare il giusto valore a ciò che, come noi, cresce su questa terra non sempre ospitale.
In questi anni ho visto crescere realtà vitivinicole che si fanno strada nel mondo, ho conosciuto consorzi e associazioni nuove, come i Giovani Vignaioli Canavesani, che hanno voglia di coltivare le buone tradizioni (quelle che i miei nonni seguivano per curare i vitigni), aggiungendo però le competenze di un vignaiolo del 2023.
E soprattutto hanno la voglia di scardinare le tradizioni negative del Canavese – prima fra tutte: l’idea che ciò che abbiamo qui non possa essere all’altezza del resto del mondo.
E, finalmente, è arrivata la notizia: l’Erbaluce è stato presentato al Vinitaly come vitigno dell’anno 2023 del Piemonte.
E, finalmente, abbiamo avuto la conferma che il nostro territorio, e letteralmente il nostro terreno, abbia grandi potenzialità.
Bisogna sicuramente saperlo trattare.
Come bisogna saper trattare tutto ciò che nasce su questa terra, che un tempo era ghiacciaio, in un territorio che se provi a raccontarlo è impossibile, perché il Canavese è colline, è Anfiteatro Morenico, è campi, è laghi, è Gran Paradiso.
A volte sembra chiudersi al resto del mondo, e sembra impossibile muovere passi fuori da qui. Come se dovessi scalare le montagne, ogni volta.
Ma la notizia dell’Erbaluce ha confermato la mia posizione: io credo nel mio territorio, credo in ciò che ha radici in questa terra e nei frutti che può portare.
Siamo tutti frutti di questo territorio.
Siamo tutti nati qui, all’ombra del Gran Paradiso, sulle spalle di Olivetti, abbracciati dalla Serra.
Sta a noi diventare quell’Erbaluce, ricordandoci che nel nostro DNA siamo il vino dei nonni.

Erbaluce_004
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

Economia

ELETTRIFICAZIONE RIVAROLO - PONT CANAVESE SFM1

“Con soddisfazione ho appreso che nella recente conferenza dei servizi è stata definita una road map che prevede entro la fine dell’anno l’affidamento dei lavori per l’elettrificazione del tratto della linea ferroviaria Rivarolo-Pont, un investimento importante di cui da anni sono convinto sostenitore, e che anche da Sindaco della Città di Cuorgnè ho sempre convintamente portato all’attenzione dei diversi livelli istituzionali.
Ritengo infatti che una connessione ferroviaria moderna con Torino sia un elemento fondamentale nello sviluppo di un territorio, ed il prolungamento della SFM1 è un passo decisivo in questa direzione».
Per Pezzetto sarà quindi possibile fare un passo avanti verso un modello di metropolitana leggera con servizi più adeguati e pronti ad innestarsi all’interno dei nuovi paradigmi della mobilità sostenibile in un quadro complessivo più ampio che Regione, Città Metropolitana e Comune di Torino stanno sviluppando e di cui è altresì coinvolto nel suo ruolo di Presidente della società 5T che si occupa di smart mobility e gestisce la Centrale della Mobilità di Torino, della Città Metropolitana e del Piemonte.
“Questa nuova direttrice green, se accompagnata da una attenta azione di cambiamento culturale per un cambio di abitudini di spostamento delle comunità e dall’altra da una maggiore accessibilità, non solo infrastrutturale ma anche digitale all’utilizzo di mezzi pubblici sostenibili, ci consentirà di gestire meglio il trasporto su gomma, con conseguenti benefici nella riduzione di emissioni sia sul nostro territorio sia nella Città di Torino.
Si tratta di piccoli passi ma sono nella giusta direzione e cosa fondamentale doterà il territorio di tutto l’Alto Canavese di una leva indispensabile per la promozione turistica capace di rendere il territorio maggiormente attrattivo a nuove forme di residenzialità e quindi contribuire ad attivare nuovi sviluppi economici”.
La speranza è quindi quella di vedere la più presto operativo quello che l’ex Sindaco Beppe Pezzetto aveva definito “Treno Paradiso” l’accesso green al Parco Nazionale del Gran Paradiso.

Canavesana
A_Sergio Gelmini

Sergio Gelmini

Ambiente

CERESOLE BIKE DAY

Ho letto con piacere l’articolo di Giovanni Ellena sul blog di “ Canavese al centro” dove si esaminano le potenzialità turistiche del nostro territorio e ho considerato la possibilità di proporre un’iniziativa che coinvolga il nostro Canavese .
La mia idea potrebbe sembrare simile a quella di Paola Gianotti del “Nivolet bike day” ma riprenderebbe quella che si svolge nel parco nazionale dello Stelvio tra Lombardia e Alto Adige .
Consiste in una manifestazione con strade chiuse al traffico per alcune ore , la partenza potrebbe essere in una cittadina della pianura canavesana e l’arrivo a Ceresole Reale o per i più allenati al Colle del Nivolet.
Qui coinvolgendo le attività locali come bar e ristoranti, si potrebbe organizzare un pasto a prezzo convenzionato o pasta party.
Questa giornata potrebbe prendere il nome di “Ceresole bike day “ riprendendo il nome dato da Paola Gianotti , sarebbe libera a tutti e adatta a bici di ogni genere ( corsa, gravel, mtb, ebike ) come periodo proporrei quello tra maggio e luglio e inoltre come avviene al Sellaronde bike in Trentino proporre un soggiorno in un hotel della zona per chi arriva da altre province o regioni a prezzi promozionali.
Sono sicuro che tale iniziativa possa coinvolgere tantissimi appassionati di ciclismo come me e aiuti a far conoscere il nostro bellissimo territorio.
Lancio questa idea nella speranza che venga accolta dai Sindaci canavesani, dall’Ente parco, dall’Unione montana Valli Orco e Soana ma anche da albergatori e ristoratori della zona.
Concludo augurando un felice 2023 a tutti voi.

28203F2D-4B38-48D9-9594-488173A111E7
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

Cultura

IN CANAVESE C'E' ROBA

La vittoria dei SANTI FRANCESI ad X-FACTOR, deve portare il territorio a fare una seria riflessione sul grande patrimonio musicale che abbiamo a disposizione e che abbiamo sempre avuto da diverse generazioni sino ad oggi. Un patrimonio da valorizzare e che sicuramente farebbe del bene al Canavese rendendolo più attrattivo e vivace.
Dovremmo ripartire da dove ci eravamo lasciati prima della pandemia. Da amministratore ricordo un fiorire di iniziative musicali legate dal claim “IN CANAVESE C’E’ ROBA” un patrimonio di volontari appassionati che organizzavano eventi connessi tra di loro, fatti bene, in modo professionale. Alcuni sono fortunatamente ripartiti ma altri credo abbiano bisogno di nuova linfa e di nuovi inneschi, ne ricordo alcuni, probabilmente non tutti: Apolide, Borgiallo Blues Festival, Ingria Woodstock Festival, Tavagnasco Rock, Generator Party, Miscela Rock Festival, Frassi Beer Festival, Coppa Rock, talent locali come Telekomando.
Eventi a cui hanno partecipato band sconosciute poi diventate conosciute, altre che hanno segnato diverse generazioni, altre ancora che hanno dato la possibilità ad un numero enorme di giovani di esibirsi, anche qui ne ricordo alcune: The Jab (oggi Santi Francesi), Pinguini Tattici Nucleari, Cosmo, Eugenio in Via di Gioia, Persiana Jones, Antinomia, Woodoo Dolls e tanti altri, senza ovviamente dimenticare la giovane band degli Omini.
Abbiamo il terreno fertile ed un allineamento dei pianeti che le Istituzioni ai diversi livelli, gli sponsor dovrebbero saper cogliere, servirebbe un po’ di visione, qualche luogo in cui possano “registrare”, mettere a disposizione spazi da far “rivivere” un meccanismo da far ripartire e che dal basso potrebbe diventare un elemento non solo di “evasione” ma anche qualcosa in più e che con le tecnologie attualmente a disposizione saprebbe diventare volano per una nuova, forse piccola, ma non poniamoci limiti, economia del territorio.
Cogliamo l’attimo positivo che stiamo vivendo !

Santi Francesi_XFACTOR
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

Cultura

ADESSO HANNO BISOGNO DI NOI!

Per chi ama la musica, per quelli che nella loro vita hanno suonato uno strumento: in una band, in una filarmonica dei nostri paesi, o anche soltanto la chitarra con gli amici, per tutti i Canavesani, è motivo d’orgoglio aver ascoltato due giovani complessi esibirsi su un palcoscenico così prestigioso come quello di X-FACTOR.
Il gruppo degli “OMINI” è arrivato sino alla semifinale e sentiremo ancora a lungo parlare di loro, sono giovani e bravi, e come si dice “spaccano” !
Adesso dobbiamo però fare un ulteriore sforzo di coesione di unità del territorio, di concreto supporto ai ragazzi dei “Santi Francesi” che dal nostro Canavese calcheranno il palco di X-FACTOR 2022 per la finale!
Giovedì 8 dicembre ore 21.15 su Sky Uno tutti pronti a sostenerli per aiutarli a realizzare il loro sogno e a portare lo spirto del nostro canavese all’attenzione di una grande platea.
E allora condividiamo il messaggio e percorriamo tutti insieme questa ultima tappa, che potrà essere per loro e per noi la prima di un viaggio entusiasmante!

Santi Francesi_XFACTOR
E565FDD3-AE16-4431-B53C-E23552889144

Silvia Leto

Creatività

FOLIAGE IN CANAVESE: UNA POSSIBILITA’ !

Come non notare i colori caldi che la natura ci dona in questo periodo dell’anno. Il nostro territorio, il “verde Canavese” in questi giorni abbandona il verde per vestirsi di nuovi colori. Le foglie si lasciano lentamente morire tingendosi di calde sfumature di giallo, arancio, rosso e bruno. Una magia stagionale! La natura attorno a noi inizia il misterioso e affascinante processo di mutazione: i paesaggi diventano splendide tavolozze di colore in una danza di mille sfumature che creano uno spettacolo unico. La mutazione, oltre ad essere una splendida visione per gli occhi, è anche una “terapia” per la mente e l’anima, che dona un ritmo lento e rilassante. La natura in un ultimo slancio di vita si prepara all’inverno per poi rinascere a primavera. E’ il “foliage”, esperienza che da diversi anni è diventata in molte zone d’Italia e non, attrazione turistica di notevole richiamo. Il termine foliage a differenza di quanto si possa pensare è un termine che deriva dall’inglese: “fall foliage”, ovvero fogliame autunnale. Il Piemonte può vantare molte mete naturalistiche-turistiche dove poter godere di questa suggestiva mutazione: la prima meta più conosciuta e indubbiamente ben organizzata e strutturata è quella del Trenino del Foliage della zona Centovalli, dove il percorso storico della Ferrovia Vigezzina-Centovalli, storica linea che congiunge il Piemonte da Domodossola alla Svizzera Locarno propone un percorso di 52 km con vedute spettacolari e scorci panoramici infiammati dai colori autunnali. Altra meta molto conosciuta è l’Oasi Zegna di Biella, nata dalla visione lungimirante di Ermenegildo Zegna, imprenditore, che acquistò i terreni della montagna sovrastante il suo Lanificio, nato nel 1910, e a partire dall’inizio degli anni ’30 avviò la messa a dimora di oltre 500.000 conifere, implementando un piano di gestione delle acque e dei suoli e facendo costruire la strada panoramica, oggi la Panoramica Zegna, via di collegamento delle “terre alte” di grandissima importanza paesaggistica.
Questi solo alcuni dei progetti turistici che hanno saputo valorizzare un territorio partendo dalla gestione del bene e passando alla promozione. Spesso il termine “valorizzazione” si accompagna alle parole “promozione turistica”. I due termini sono sicuramente correlati, ma hanno sfumature differenti tra loro. Valorizzare un territorio è un processo articolato teso a divulgare elementi di “valore”, quindi partendo dapprima dalla conoscenza di un territorio e dei suoi aspetti più profondi e caratteristici, per poi successivamente comunicare verso il pubblico enfatizzando tali aspetti con la “promozione”. In pratica la valorizzazione di un territorio fa parte di un piano di marketing territoriale, in cui è necessario pianificare strategicamente definendo le linee da seguire, le azioni e le aree di intervento. Questo processo va inserito sin dall’inizio nella pianificazione, nel quale si definiscono potenzialità, punti deboli, obiettivi e misure da adottare. Valorizzare un territorio significa dare valore al “Genius Loci”, concetto ampiamente utilizzato in architettura. Come diceva Heidegger, l’uomo abita quando riesce ad orientarsi e a identificarsi in un ambiente, allora gli spazi in cui la vita si svolge devono essere “luoghi” nel vero senso della parola. Spazi dotati di caratteri distintivi. Seguendo questo ragionamento possiamo dire che il nostro territorio presenta caratteri fortemente distintivi per bellezza naturalistica, storia e tradizione, ma manca di pianificazione a larga scala. Così come altri territori sono riusciti a creare un indotto turistico significativo riconoscendo e sfruttando le potenzialità offerte dal territorio, anche noi in una visione ampia e collegiale potremmo recuperare e mettere a valore le risorse culturali e ambientali locali. Le bellezze non ci mancano: Parco Nazionale del Gran Paradiso, Sacro Monte di Belmonte (Patrimonio Unesco), bellissime e selvagge valli da scoprire, aree collinari da assaggiare e vivere, tutti luoghi dove è possibile ammirare il foliage e dove il paesaggio regala scorci davvero unici. Elementi distintivi che rendono la nostra zona unica, per certi versi simile a quelle sopra citate dove sono stati raggiunti sorprendenti traguardi. L’intento di questa breve riflessione è quindi quello di suscitare interesse e voglia di fare tra i cittadini, ma soprattutto nelle amministrazioni che possono, se vogliono, trattare argomenti, proporre e suggerire nuove strade da seguire per dare una veste nuova al nostro Canavese.

Foliage
0FB86347-53B4-4A84-A2E7-296B5D6FB7A8

Ombretta Bertoldo

Cultura

IL TERRITORIO COME SCUOLA

Ho letto da poco un interessante articolo sull’ “Internazionale” che raccontava di come l’attrice britannica Tilda Swinton (vista in “Le cronache di Narnia”, “Avengers”…) avesse fondato una scuola nel Nord della Scozia perché i suoi due gemelli potessero frequentare una realtà speciale, una scuola dove si insegni la vita di tutti i giorni. Ha scelto un contesto meraviglioso dal punto di vista paesaggistico, un preciso stampo educativo e ha deciso di “farsela da sé”. Era il 2013. Probabilmente, in quegli anni, l’esperimento venne etichettato come un capriccio da ricchi e famosi e la “scuola speciale” venne frequentata da altrettanti amici ricchi ed eccentrici.

Passato circa un decennio, ci accorgiamo che molte persone, seppur non provenienti da Hollywood, stanno cercando di costruire un ambiente diverso in cui educare i propri figli. Non solo nelle Highlands, ma anche in Italia e nei nostri luoghi più vicini.

Frugando nella rete, ho constatato che i dati Istat parlano di percentuali invariate negli anni sia dei bambini che frequentano la scuola pubblica sia quella privata in Italia. E’, invece, in lieve crescita, il numero di studenti che non frequentano alcuna scuola. Sono i cosiddetti homeschoolers o che frequentano le scuole parentali o non paritarie.

Homeschooling è il termine anglosassone che indica tutte le forme di apprendimento e istruzione al di fuori del sistema scolastico curricolare pubblico o equiparabile ad esso, ciò che in Italia è riconosciuto dalla legge come “istruzione parentale”. Per la nostra Costituzione, infatti, ad essere obbligatoria è l’istruzione, non la scuola ed esiste un meccanismo di controlli per valutare che l’istruzione sia impartita secondo criteri accettabili, i cui risultati vengono poi misurati attraverso esami di idoneità annuali per gli homeschoolers. Non è facile trovare dati statistici precisi che riguardino l’istruzione parentale, ma si rileva una decisa tendenza all’aumento del numero di alunni che lasciano le scuole tradizionali per essere istruiti “a casa” ed il fenomeno si è amplificato nel triennio 2019-2021, pare sia almeno triplicato. Capofila dell’homeschooling italiano è il Nord Italia, con la Lombardia in testa.

Studiare a casa non significa né essere alunni abbandonati a se stessi né essere studenti di famiglie abbienti con precettori al seguito.

Non significa neppure che i genitori debbano essere insegnanti o, comunque, avere un livello di scolarità elevata per permettere ai propri figli di avere successo negli studi.

Anzi, da alcune ricerche britanniche risulta che il livello di istruzione del genitore permette di prevedere i risultati dello studente solo nella scuola pubblica, non nell’homeschooling. I risultati dei test degli studenti istruiti in famiglia restano alti sia che i genitori abbiano una laurea sia che non abbiano terminato la scuola superiore.

In molti casi, c’è un grado di delega sulla responsabilità operativa e di gestione dell’apprendimento da parte della famiglia verso apposite strutture, le scuole parentali, che possono supportare le famiglie in tutto il processo. Il panorama è molto variegato in termini di scelte educative, modelli seguiti, quantità di delega.

Al di là delle differenze di ciascuno, i fattori comuni sono rappresentati dalla partecipazione attiva dei familiari dello studente, che attivano tempo, risorse ed energie all’educazione e dalla scelta consapevole di sperimentare nuovi modelli di studio. Rappresenta un fattore importante la volontà di conoscere la storia, la geografia, la scienza e la matematica utilizzando maggiormente i musei, le biblioteche, conoscendo il territorio, abitando la natura, le sue forme e le sue numeriche. Come già affermava Galileo: “il libro della natura è scritto in caratteri matematici”. Spesso, però, come citava Maria Montessori più di un secolo fa: “la natura, in verità, fa paura alla maggior parte della gente. Si temono l’aria e il sole come nemici mortali. Si teme la brina notturna come un serpente nascosto tra la vegetazione. Si teme la pioggia quasi quanto un incendio… il bambino, invece, ha bisogno di vivere naturalmente e non soltanto di conoscere la natura”.

In Canavese ci sono già varie realtà parentali interessanti, anche molto diverse tra loro. Alcune sono note da tempo, altre sono neonate, ma penso che avranno un grosso potenziale di sviluppo. Mi piacerebbe conoscerle meglio e parlarne in prossimi articoli, nell’ottica di rafforzare il legame con il territorio e andare a scovare le eccellenze. Sono convinta che, come sempre, la differenza la facciano le persone: laddove ci sono individui competenti, entusiasti e desiderosi di portare nuova linfa, i progetti possono superare le diffidenze, avere successo e delineare nuovi stili di vita più consapevoli e votati al benessere.

home_school
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

MA QUANTI TALENTI ABBIAMO IN CANAVESE !

Da tempo sostengo che il nostro Canavese sia ricco di talenti, spesso più conosciuti e valorizzati fuori dalle nostre geografie che al nostro interno. Un valore che nei diversi ambiti non soltanto deve renderci orgogliosi, ma anche attirare positive attenzioni sul nostro territorio e soprattutto essere un elemento di coesione.
La settimana che si sta chiudendo è in questo senso emblematica, e per questo mi permetto di citare alcuni esempi che forse ai più non sono noti, o meglio sono noti alle singole “tribù” che operano o sono appassionati dei vari ambiti ma a cui, forse, sfugge che li lega un unico comune denominatore: i protagonisti sono canavesani.
Partendo da quello più mediatico, la vittoria del mondiale della MotoGP del Chivassese Francesco “Pecco” Bagnaia a bordo della Ducati, ad Andrea Beltramo che nella nuova serie “The Crown” appena resa disponibile su Netflix doppia il Principe (oggi Re) Carlo. Andrea bravissimo doppiatore e attore.
Restando nel mondo dello spettacolo le due band canavesane de “I Santi Francesi” e degli “Omini” hanno superato l’ennesima prova del talent X-Factor interpretando magnificamente i brani a loro assegnati, e qui rinnovo l’invito a seguirli e a sostenerli in questo entusiasmante percorso, non siate timidi, votateli e seguiteli sui diversi social.
Per chiudere, last but not least, con Stefano Zordan, un giovane che ha portato in Italia da Harvard (Kennedy School) un nuovo modello di interpretare la Leadership, parola spesso usata a sproposito, ha fondato l’OLI Adriano Olivetti Leadership Institute e che questa settimana al 𝗪𝗼𝗿𝗹𝗱 𝗕𝘂𝘀𝗶𝗻𝗲𝘀𝘀 𝗙𝗼𝗿𝘂𝗺 ha dialogato con 𝗖𝗮𝗿𝗹𝘆 𝗙𝗶𝗼𝗿𝗶𝗻𝗮, che è stata la prima donna alla guida di una delle 50 maggiori aziende Usa, quando è stata ingaggiata per guidare HP (Hewlett Packard)che sotto la sua guida sarebbe diventata l’undicesima società più grande degli Stati Uniti per fatturato, su come guidare la trasformazione organizzativa sviluppando la leadership nelle persone.

Insomma abbiamo tanta roba e questa è solo la punta dell’iceberg di questa settimana.

Santi_Francesi
Giovanni Ellena

Giovanni Ellena

Economia

MA COME AVETE FATTO A TENERE NASCOSTO QUESTO PARADISO?

“Ma come avete fatto a tenere nascosto questo paradiso per così tanti anni?”
Questa la domanda che i miei colleghi mi rivolsero nel parcheggio di “deviazione ammiraglie” subito dopo la tappa del Giro d’Italia 2019, “ Pinerolo/ Lago Serrù”.

Le solite battute del dopocorsa, gli sfottò di qualche intervento rocambolesco in gara o i commenti sul risultato sportivo, stavolta avevano lasciato spazio alla curiosità sulla bellezza del nostro territorio, e a molte promesse (in buona parte mantenute) di un ritorno da turista, per godersi la salita e il panorama senza l’ansia dell’agonismo.

La mia professione ed il ricordo di quelle battute, mi hanno portato, negli anni successivi alle varie partenze ed arrivi del Giro d’Italia in Canavese (Rivarolo, Ivrea, Aglié, Ceresole Reale, Ivrea) ad una maggiore attenzione al traffico ciclistico nelle nostre valli. Sarebbe interessante avere dei dati statistici precisi, ma già solo a colpo d’occhio l’impennata del cicloturismo in Canavese è stata notevole.

E non si parla solo di cicloturismo locale ma di vero turismo, da parte di appassionati di ciclismo, natura ed arte, provenienti da varie parti d’Europa, che pedalano, soggiornano, consumano nel nostro territorio portando indotto alla nostra economia locale.

Ma quanto c’è ancora da fare? Che potenzialità ha il Canavese?

Spesso mi capita di visitare per lavoro luoghi che hanno un potenziale attrattivo notevolmente inferiore al nostro Canavese, ma strutturati per la ricezione del cicloturista. Territori che hanno basato una parte della loro economia turistica sull’indotto di eventi importanti. L’evento sportivo che ormai è entrato nella storia del ciclismo epico che da visibilità mondiale di un giorno al territorio.

Il fatto di parlare di evento storico induce a pensare che ci vogliano anni a promuovere un territorio ciclisticamente parlando, ma ci sono casi che smentiscono totalmente questa teoria. Basti pensare ad una gara che ormai è una classica del ciclismo mondiale. La famosa “Strade Bianche”, che pur avendo una storia recente (prime edizione a fine del primo decennio del 2000), è ormai un appuntamento ambitissimo del calendario mondiale del ciclismo professionistico, ma soprattutto, assieme alle manifestazione ciclostorica de “L’Eroica” (musa ispiratrice delle “Strade Bianche”), un evento trascinatore per il turismo in bicicletta sulle colline senesi.

Il territorio canavesano ha possibilità infinite di disegnare percorsi per tutti i gusti, da quelli per la “classica” bici da strada, alla più “libera” MTB, fino all’ultima tendenza del Gravel. Percorsi che permetterebbero di promuovere le nostre peculiarità e far conoscere le nostra storia e la nostra architettura. Percorsi che, se ben strutturati e promossi, permetterebbero la nascita di strutture di appoggio (mi vengono in mente i Bicigrill già presenti in alcuni territori), creando anche possibilità di lavoro in più.

Forse manca solo l’ultimo tassello, la creazione dell’evento trascinante, l’evento che si ripete negli anni e da un’identità ciclistica al territorio.

Outdoor_001
Renzo Revello

Renzo Revello

Economia

SPORT OUTDOOR PER LO SVILUPPO DEL TERRITORIO

Pensando al Canavese, parte settentrionale della Provincia di Torino, mi torna in mente il fatto che nell’ambito degli Stati Generali del Turismo 2018 emersero quattro vocazioni principali come driver per la Regione: il turismo outdoor, il turismo enogastronomico, il turismo culturale e il turismo sportivo.

Occupandomi di sport e intrattenimento, con le diverse contaminazioni legate a questi temi, non voglio addentrarmi in considerazioni legate alla cultura e all’enogastronomia, dove voci più autorevoli della mia hanno già espresso idee e realizzato fatti, cosa non trascurabile, negli anni.

In merito invece alla componente outdoor e sportiva vorrei spendere alcune considerazioni che ritengo utili per migliorare la cognizione di quanto può essere fatto e le valenze di queste due componenti generatrici di motivazioni attrattive.
Partiamo dal fatto che l’area canavesana è definita come componente strategica per lo sviluppo turistico della parte nord della Provincia di Torino, pur con le ancora limitate offerte di sistema, essendo i diversi driver attrattivi ahimè ancora gestiti troppo secondo una logica campanilistica tipica del nostro territorio, e probabilmente essendo esso non ancora pienamente capace di presentare offerte che sappiamo, partendo da uno di questi driver, mettere in circolo anche gli altri.

Si parla di circolarità dell’impresa, sia essa un’attività di business o ente, od associazione; si tratta di considerare sempre tutti i punti che compongono la circonferenza del cerchio. Se anche un solo punto manca, non si ha il cerchio e l’impresa non è nelle condizioni migliori per operare.
Per questo tornano alla mente le cosiddette “viste logiche”, concetto manageriale che si sta riscoprendo, un po’ antesignano della necessità di vedere ogni progetto, ogni attività con la maggior parte dei punti di vista, dal fruitore in primis all’offerente, dall’ente pubblico agli erogatori di servizi ancillari. Oggi in un’ottica di marketing territoriale si debbono definire come punti di innesco multipli, cioè i generatori del bisogno che viene creato nel potenziale mercato target.
E qui se outdoor e sport sono i driver di cui parliamo, è evidente che i punti di innesco sono veramente molti, favoriti da una serie di caratteristiche del territorio che possono offrire vantaggi competitivi importanti, legandosi con gli altri due driver, cultura e enogastronomia, in cui il Canavese non difetta.

Partendo dalla parola outdoor e dalla sua connotazione in ambito turistico, certamente ampia seppur non precisa, il Canavese è da sempre il “verde Canavese”, ben adattandosi quindi ad ogni tipo di offerta outdoor. Vivendoci, e vivendo in una zona che ha fatto negli ultimi anni del turismo uno strumento di impegno per uno sviluppo, ho osservato come sempre di più soprattutto nei weekend si incontrino persone che apprezzano questi luoghi, semplicemente anche solo per “andare a spasso”. Capisci che non sono della zona dal fatto che li vedi arrivare in macchina e che si guardano intorno da forestieri, e capisci che a queste persone, che in realtà ti dedicano un paio d’ore, tu come territorio dovresti prestare attenzione, dargli di più, magari nulla di eclatante, magari solo qualche informazione visuale, in troppi casi oggi ancora carente. Magari proprio integrandola con informazioni su elementi attrattivi di prossimità degli altri driver, quello enogastronomico e culturale.

Perché se il tuo cliente-turista è lì, qualcosa conosce di te come territorio, ti ha già scelto per dedicarti il suo tempo, e se hai il negozio aperto con i prodotti del luogo, se hai le tue dimore storiche aperte, se hai anche solo un banner che racconta qualcosa di te come paese, forse aumenti la sua attenzione, e la passeggiata, la voce outdoor del turismo va a sposarsi con un approfondimento culturale o culinario, d’acchito o generando lo stimolo per un ritorno.

Parlo di passeggiate, ma tranquillamente si può estendere quanto esposto prima a coloro che raggiungono i nostri paesi in bicicletta, quelli che non annoveriamo tra gli sportivi, ma quelli che sempre nei weekend si vedono sulle nostre strade gironzolare magari in coppia o con la famiglia.
Certo sono cose che abbiamo già sentito e detto più volte, ma dal sentire e dire si potrebbe passare al fare, e in questo caso non sono richiesti né investimenti né visioni strategiche ma soltanto un po’ di comunicazione mirata e spesso non considerata, o gestita in modo non professionale, dal “cuggino” di turno.

Guardando le cose dal punto di vista più strettamente sportivo, credo che si debba considerare come negli ultimi anni, pur con il macigno Covid nel mezzo, siano avvenuti dei miglioramenti importanti, soprattutto con eventi di portata nazionale e mondiale, come nel caso della canoa ad Ivrea ed ai suoi ricorrenti appuntamenti competitivi, ai campionati nazionali di Parapendio o internazionali di Canyoning, così come il ciclismo che ha portato diverse gare in linea di caratura nazionale a transitare nei nostri paesi e soprattutto il Giro d’Italia che anche quest’anno il 19 maggio vedrà la partenza della tappa 13 da Borgofranco verso Crans Montana in Svizzera.

Ma sarebbe riduttivo riferirsi solo a questi esempi, in quanto molte sono le occasioni di competizioni che hanno portato e portano persone sul territorio. Dobbiamo sottolineare che soprattutto le gare che hanno una caratura transregionale o ancor meglio nazionale o internazionale sono uno strumento importantissimo di visibilità in quanto la copertura mediatica oggi è amplificata dalla autodiffusione del messaggio, dove il protagonista inteso come turista è lui il mezzo di diffusione, e quindi il realizzare eventi sportivi importanti è essenziale per fare conoscere il territorio ad ampio spettro, soprattutto battendo sulla grancassa quando è ora, anziché, spirito sabaudo, mostrarsi infastiditi per uno o due giorni di mutamento nel nostro tran tran.

Dobbiamo però considerare, anche e forse in primis, tutte quelle altre manifestazioni meno eclatanti ma ugualmente importanti che fanno riferimento allo sport dilettantistico ed amatoriale. Certo la visibilità è minore ma il tessuto su cui insistere è molto ampio. A livello mondiale il turismo sportivo attivo, cioè quello costituito dai praticanti e dai familiari, è considerato una delle attività a più elevato tasso di crescita attesa.
Ho voluto sottolineare anche la componente “familiari”: attività per amatori, over 40 o più, significa portare non solo il praticante al torneo di tennis o di calcio, ma anche probabilmente moglie o marito, e figli. Allo stesso modo sappiamo che lo sport giovanile vuol dire avere coinvolti i genitori del ragazzino o della ragazzina, e magari anche nonni, zii ecc.
E’ ovvio che se nella stessa domenica organizzo due eventi simili a tre chilometri di distanza, li cannibalizzo; e questo fatto, che succede troppo spesso, potrebbe/dovrebbe essere evitato con una programmazione di sistema territoriale, che così come dovrebbe coordinare gli eventi dei due driver tipici, cioè cultura e enogastronomia, fosse in grado di creare o quanto meno ottimizzare un calendario sportivo del territorio, per i praticanti e l’entourage che si portano appresso.

28203F2D-4B38-48D9-9594-488173A111E7
0FB86347-53B4-4A84-A2E7-296B5D6FB7A8

Ombretta Bertoldo

Sociale

IO COMPRO AL GASNAVESE!

Quando senti la parola “GAS” ti viene in mente solo il caro bollette?
Quando pensi a dove andare a fare la spesa pensi subito al discount?

Ti reputi un consumatore compulsivo?

Se hai risposto no ad almeno una delle tre domande probabilmente sei interessato a conoscere la realtà di Gasnavese.

Il progetto di Gasnavese è quello di organizzare una rete di consumatori e produttori legati dai valori del consumo sostenibile, di qualità, a filiera corta.
E’ nato in Canavese più o meno un anno fa da un gruppo di persone appassionate e motivate, che hanno dato energia volontaria per creare anche qui da noi un Gruppo di Acquisto Solidale (un GAS, appunto).

L’idea di un Gas, di per sé, è molto semplice: unirsi in gruppo per acquistare prodotti in quantità, riducendo la catena tipica della grande distribuzione, facendo incontrare produttori e consumatori.

Il fenomeno, a livello nazionale, nasce a metà degli anni 90 e segue quello del consumo responsabile, che i dati dicono essere in crescita del 219% nell’ultimo ventennio. Ad oggi, si contano almeno sei milioni di italiani che acquistano prodotti a filiera corta attraverso i GAS ed esistono circa 2mila piattaforme per la gestione degli acquisti in tutta Italia. Dal 2020 la percentuale di chi fa la spesa tramite Gas è arrivata a circa il 12%

Il Piemonte ha da tempo le sue realtà e Gasnavese si colloca all’interno della Banca del Tempo del Canavese, a Rivarolo, che sposa in toto i valori di solidarietà e partecipazione del gruppo.

Il neonato Gasnavese ha come valori, appunto, prima della convenienza e del profitto, la solidarietà nei confronti di produttori ed ambiente.
Questo vale sia per i soci sia per i produttori, che vengono selezionati secondo quei criteri, oltre quello della qualità del prodotto. Il secondo pilastro è quello della partecipazione: i soci mettono a disposizione il loro tempo per quello che si sentono di fare.

C’è chi è attivo nel dialogare con i produttori, chi nel raccogliere le esigenze dai soci, altri si occupano della gestione delle consegne, sia dal punto di vista di diffusione dell’informazione, gestione del listino, aggiornamento del sistema informatico a supporto.
Altri ancora partecipano semplicemente andando a fare la spesa, cioè recandosi nei giorni convenuti nel punto di “distribuzione”, che è stato identificato all’interno delle ex scuderie del Castello Malgrà di Rivarolo.

Sicuramente chi si reca al ritiro della spesa prenotata ha il piacere di condividere un momento di scambio e di conoscenza con gli altri, conosce le storie che sono dietro ai prodotti, senza limitarsi al puro scambio di denaro-merce, frettoloso ed inconsapevole, che caratterizza spesso il mondo dei consumi.

Il risparmio non è, dunque, l’unica leva che muove un’organizzazione come quella descritta.
Il risultato, però, è anche quello: si risparmia acquistando prodotti scelti e di qualità, cosa non sempre facile da ottenere. Questo è possibile cambiando in parte il modello, cioè accettando di organizzare i propri acquisti, legando la spesa al calendario definito e comprando in quantità più elevate.
Questo ultimo punto riguarda soprattutto i prodotti che arrivano da produttori non locali, spesso stagionali, che seguono le logiche del trasporto e non vengono consegnati se non si raggiungono certe quantità.

Si tratta di un piccolo compromesso con la flessibilità per ottenere molto di più in cambio.

Se ti sei ritrovato in qualcuno dei valori che ti ho raccontato o se sei curioso di scoprire qualcosa di più scrivi a gasnavese@gmail.com per avere informazioni e, perché no, per venire a trovarci durante una consegna!

Gasnavese
D2262924-02CF-477D-B5E2-375808136045

Pasquale Mazza

Economia

LA MOBILITÀ IN CANAVESE E’ FONDAMENTALE PER LO SVILUPPO

Perché un territorio possa non essere a rischio desertificazione ma essere, al contrario, appetibile ed attrattivo serve la concomitanza di diversi fattori: uno di questi è la presenza essenziale di infrastrutture tra le quali quelle afferenti alla mobilità che deve essere anche sostenibile.

Sul trasporto aereo siamo ben messi dalla estrema vicinanza al Sandro Pertini di Caselle ma anche a Milano Malpensa

Per quello che riguarda la mobilità su ferro è partita l’elettrificazione della Rivarolo-Pont Canavese ma per fare in modo che questo servizio diventi davvero competitivo da tutti i punti di vista bisogna fare ancora degli interventi e far sì che per andare da Rivarolo a Torino si impieghi meno tempo. Bisogna rimuovere le intersezioni a raso e raddoppiare i binari, ciò è molto oneroso ma è quello che serve per raggiungere l’obiettivo principale che si traduce in risparmio di tempo per i cittadini e quindi migliore qualità della vita e miglioramento in termini di inquinamento ambientale, oltre ad una maggiore attrattività residenziale per nuovi e giovani nuclei famigliari.

Si tenga altresì conto che un intervento di questo tipo darebbe una grossa spinta anche al settore turistico. Un ultimo appunto: la modalità di pagamento (questa è una riflessione che vale per tutto il settore della mobilità) bisogna avere la possibilità di fare un biglietto unico sui trasporti. Sono partite delle piccole sperimentazioni e Regione Piemonte, Città metropolitana di Torino e Agenzia per la mobilità Piemontese ci stanno lavorando.

La mobilità collettiva su gomma ha bisogno di una revisione generale, la cosa che serve più di tutte ottimizzare e armonizzare le varie tratte tra di loro e con le tempistiche delle ferrovie, troppo spesso non si riesce a prendere le coincidenze.

Per quel che concerne la mobilità individuale sono in atto molte sperimentazioni di carpooling, car sharing e bike sharing in tutta l’area di città metropolitana che ricordo essere la più grande d’Italia in termini di estensione e con ben 312 comuni. Stanno per partire molti interventi previsti nel Piano Urbano della Mobilità Sostenibile approvato da Città metropolitana a luglio che riguarda le piste ciclabili.

Ho volutamente tenuto per ultimo il problema della viabilità. Se per la Lombardore-Front si sta procedendo con tempi e finanziamenti certi vi sono ancora due problemi: Il cosiddetto Ponte Preti e il ponte chiuso sulla Torino-Aosta nei pressi dell’uscita di Ivrea.

Per quanto riguarda il Ponte Preti la Città metropolitana di Torino è titolare di un finanziamento, si tratta di circa 19 milioni di euro mentre la titolarità della strada è stata trasferita ad ANAS.

Bisogna fare presto: i due enti si accordino in tempi rapidi e si proceda. Seguirò personalmente e con costanza lo sviluppo della situazione e terrò aggiornato il territorio. Intanto i due Enti si sono incontrati e nei prossimi giorni si rivedranno. Bisogna fare presto.

La nota dolente, infine, che comporta molti disagi ad una buona fetta di Canavese, riguarda la chiusura ormai da troppo tempo dell’autostrada che da Ivrea porta a Torino, completata da tempo e che intoppi burocratici non consentono di aprire.

Chiedo un intervento urgente che ristabilisca la normalità di transito in tempi rapidissimi, credo sia giunto il tempo di risolvere il problema, che sta creando danni economici e di inquinamento non più sostenibili!

L’alternativa a questo immobilismo potrebbe sfociare in una manifestazione degli amministratori con intervento di programmi satirici nazionali in quanto siamo al paradosso, non è un problema di soldi, di lavori (completati da tempo) ma di burocrazia e non è più tollerabile!

Canavesana
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

Sociale

RATA.TU IL VOLONTARIATO CHE FA SQUADRA

Ammetto, ero indeciso se in questo breve articolo affrontare argomenti di più ampio respiro internazionale quali l’evoluzione del conflitto in Ucraina che sta scivolando lentamente su scenari che speriamo non prendano forma ma che comunque incideranno non poco sulle dinamiche geopolitiche a cui siamo stati abituati noi europei dopo la caduta del muro di Berlino.
Oppure disquisire sulle tematiche nazionali del dopo elezioni, che democraticamente hanno eletto nuovi rappresentanti che confidiamo possano garantire una stabilità ad un Paese, il nostro, che ne avrebbe molto bisogno ma che la storia ci insegna è sempre molto più liquido, mi permetto di sottolineare come nessuna forza politica il giorno dopo le elezioni abbia più affrontato il tema dell’ampio astensionismo.
In realtà sabato pomeriggio ho avuto il piacere di partecipare all’anniversario di una lodevole iniziativa locale fatta di cose concrete e persone vere che mettono a disposizione il loro tempo gratuitamente per le nostre comunità ed ho pensato fosse giusto darne evidenza, perché ci sono cose che fanno bene e che spesso conosciamo poco e chissà che qualcuno di Voi leggendo queste mie poche righe possa cogliere delle positive suggestioni e possa sentirsi invogliato a parteciparvi.
Che il nostro territorio sia fortunatamente ricco di “volontariato” è un dato assodato, centinaia di persone che non disquisiscono sul: “dovrebbe fare lo Stato, toccherebbe alla Regione o al Comune” ma si rimboccano le maniche e fanno.
Oggi vi parlo di questa iniziativa, fortunatamente per tutti noi una delle tante.
Da un anno su un territorio che comprende Castellamonte, Cuorgnè, Pertusio, Pont Canavese, Salassa, San Ponso e Valperga, insiste l’iniziativa dell’Emporio Solidale Rata.tu.
Un progetto che mette insieme non solo diverse comunità, ma diverse associazioni di volontariato, diverse attività commerciali e agricole, e già questa è una bella notizia che smentisce il solito “refrain” in Canavese non si riesce a fare squadra.
Il modello di questa esperienza, probabilmente unica in Piemonte, è sinteticamente questo:
da un lato buttiamo del cibo ancora utilizzabile, dall’altra abbiamo famiglie che faticano a mettere insieme il pranzo con la cena, e chi pensa che questo sia un problema individuale e non collettivo sbaglia di grosso, perché la stabilità di una comunità passa anche dalla capacità di supportare coloro che attraversano momenti di difficoltà prima che la situazione possa creare situazioni di instabilità che poi ricadranno direttamente o indirettamente su tutti noi.
L’unione fa la forza, e questo progetto che ha radici lontane prova concretamente a dare un piccolo ma importante contributo alla soluzione del problema.
Visto che è di moda parlare di “storytelling” proverò a narrarvi sinteticamente la genesi di RATA.TU.
Nel tempo alcune amministrazioni del territorio hanno dato vita a degli orti sociali, di cosa si tratta? Spesso di piccoli appezzamenti di terreno nelle disponibilità del Comune abbandonati da tempo.
Ad esempio in quel di Cuorgnè si era elaborato un progetto per recuperare dai rovi quello che era stato per decenni l’orto delle Suore all’interno del complesso dell’ex Istituto Salesiano. Prima si è pensato a quali tipologie di ortaggi e fiori fossero più adatti alla semina (cercando anche di recuperare la nostra storia e le nostre tradizioni). Una volta riportato in condizioni decenti (e questo è stato da subito un aspetto positivo sotto diversi punti di vista) occorreva lavorare la terra (e la terra è bassa) e qui l’idea di coinvolgere persone che trovassero nel veder crescere dei fiori o delle patate o altri ortaggi, la gratificazione di tornare a sentirsi utili per la Comunità e la cosa ha funzionato. La gestione è poi passata ai ragazzi dell’Associazione Andirivieni e credetemi le cose che noi diamo per scontate come quella di veder crescere da un piccolo seme una pianta, doverla accudire, seguire quotidianamente, dal punto di vista sociale ed educativo ha donato loro delle soddisfazioni impagabili.
Ed ecco che quasi magicamente si è creata una rete di “orti sociali sul territorio” vi invito ad andare a visitare quello di Castellamonte, si era messo il primo mattoncino ad un progetto più ambizioso.
Certo i frutti di questo lavoro non erano sufficienti, un di cui dal grande valore, ma serviva altro.
Dall’ispirazione di un gruppo di associazioni di volontariato sociale del territorio nasce il progetto di mettere in rete commercianti di alimenti freschi (perché l’esigenza era quella di fornire quotidianamente non cibo in scatola) ed ecco che la rete si allarga, partendo dagli orti sociali aderiscono supermercati, commercianti e aziende agricole del territorio.
Spesso l’invenduto viene gettato al macero, la mela non perfetta scartata, e qui nel rispetto delle norme se si riesce a gestire logisticamente il tutto si può fare tanto.
Da cosa nasce cosa, non senza ovvie difficoltà (parliamo di volontariato e quindi della disponibilità gratuita di molti) la rete si allarga, vengono stabiliti i criteri con cui le famiglie in difficoltà possono accedere a questa forma di supporto (una modalità che cerca altresì di educare le persone a sapersi gestire nelle scelte, una sorta di educazione sia economica che alimentare, in sintesi hai a disposizione un certo valore da spendere al mese in prodotti, sta ai singoli saperlo gestire settimanalmente).
Poi viene messo a disposizione un luogo, attrezzato (perché il cibo “fresco” deve anche essere conservato) e la ruota inizia a girare.
Dopo un anno i numeri sono questi: 70 famiglie del territorio supportate ogni settimana per un totale di 250 persone beneficiarie, tra cui molti bambini, 70.000 kg di derrate alimentari distribuite, 24 volontari convolti.
Non da ultimo per essere aggiornati con i tempi viene messa a disposizione una “App” che si chiama “una rete in APPoggio” a cui eventuali donatori, commerciati o agricoltori possono aderire e dulcis in fundo lo scarto dello scarto si trasforma in cibo per gli animali … direi che pur tra tante difficoltà questo possa definirsi un esempio concreto di “solidarietà” “educazione” e di “economia circolare”.
Fa più rumore una pianta che cade che una foresta che cresce e chi volesse esser parte di questa foresta di volontari e donatori sicuramente sarebbe ben accetto … per informazioni conaltriocchi@libero.it oppure chiamando il 3287553607.
I miei complimenti a tutti coloro che hanno ideato e partecipano a questa fantastica iniziativa.

Ratatu
E565FDD3-AE16-4431-B53C-E23552889144

Silvia Leto

Cultura

LA TRADIZIONE A SERVIZIO DEL TERRITORIO

Mantenere e diffondere la tradizione della produzione ceramica in un comune come quello di Castellamonte è un prestigioso obbligo. Castellamonte infatti, secondo la tradizione, sarebbe stata fondata dagli abitanti di Caneva o Canava, villaggio che sorgeva sulla sponda destra del fiume Orco, e fin dall’epoca romana è stata caratterizzata dell’estrazione e dalla lavorazione della terra rossa. Successivamente il piccolo nucleo urbano si spostò verso la collina, probabilmente per sfuggire alle insidie del torrente e nelle zone limitrofe sorsero cave in cui manualmente si estraeva l’argilla che veniva spostata nelle botteghe ceramiste dove, previo un periodo di stagionatura, iniziava la trasformazione.

La terra si lavorava con il tornio o con stampi a seconda del manufatto desiderato, si lasciava seccare al sole e come ultima fase vi era la cottura in apposite formaci a legna. A partire dal ‘600 oltre ai cosiddetti “pignatari” nacquero anche artigiani specializzati nella produzione di mattoni refrattari soprattutto nella frazione di Spineto. Importate fu la produzione di materiali laterizi, come coppi per la copertura delle case, mattoni decorativi, ornati e fregi (questi ornati si possono ammirare ancora oggi a Valperga nella chiesa di San Giorgio, a Cuorgnè nelle fasce della casa di Re Arduino, nella chiesa di San Rocco a Castellamonte ecc.) e le prestigiose “stufe”. Nella seconda metà del Novecento ci fu la cessazione dell’estrazione in loco della terra rossa a causa delle alte tasse di estrazione, inoltre vi fu lo sbarco sul mercato delle materie plastiche e di riflesso ciò portò alla chiusura di molti stabilimenti della zona e i ceramisti ad abbandonare le loro attività.

La storia della produzione ceramica oggi non è più forte come in passato, ma non possiamo e non dobbiamo dimenticare che essa ha segnato e accompagnato per decenni lo sviluppo socio-economico e territoriale di questo comune e più in generale del Canavese. Per questa ragione mantenere vivo il legame con la tradizione e con la storia artistica del territorio è un obbligo.

Il 20 agosto è stata inaugurata la 61^ MOSTRA DELLA CERAMICA DI CASTELLAMONTE, che vede un sodalizio tra i comuni di Agliè, San Giorgio e Castellamonte. L’intento nobile dei tre comuni è quello di promuovere la tradizione, il gusto e l’arte. Per l’occasione la Rotonda Antonelliana è stata allestita con interessanti opere ceramiche di artisti locali. Fra le arcate del Palazzo Comunale si possono ammirare le famose stufe di Castellamonte nelle varie versioni tradizionali e contemporanee. Presso il Liceo Artistico Felice Faccio è stata allestita una mostra che celebra il centenario dell’istituto, luogo che dal 1922 ad oggi si è fortemente impegnato nel trasmettere ai suoi studenti amore per l’arte e per la tradizione ceramica.

Queste iniziative sono uno dei fiori all’occhiello che il Canavese può vantare. Il lavoro di squadra tra comuni inoltre è la risposta vincente al “decadentismo” che ha pervaso per troppo tempo il nostro territorio, un territorio che ha tanto da raccontare e altrettanto da offrire a residenti e visitatori.

Mostra della Ceramica Castellamonte
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

Ambiente

SONO BASTATE 2 GOCCE?

E’ praticamente arrivato l’autunno, l’inaspettata campagna elettorale, e anche due gocce d’acqua. Tanto è bastato per spazzare via dai media, dai giornali e dalle Televisioni, quella siccità che sino a poche settimane fa, con la incomprensibile per tanti di noi guerra in Ucraina, era la notizia che dominava giornali, TG e talk vari.
Uno sarebbe portato a pensare che il problema sia risolto, che i ghiacciai abbiano smesso di sciogliersi, che gli agricoltori recupereranno il mancato raccolto, le temperature (che sono sempre le più alte registrate nella storia dell’uomo, scenderanno) e che torneremo tra poco a mangiare le caldarroste.
Oltre due anni di pandemia sono già un ricordo e le promesse di riorganizzare il Sistema Sanitario Nazionale una balla che adesso non fa più audience, quindi i virologi che non sono riusciti a fare il salto in politica lentamente spariranno dai radar della comunicazione, sino al prossimo giro.
Viviamo in un mondo in cui con estrema facilità si identificano problemi che sono giganteschi, che mettono in discussione equilibri globali e che richiedono per questo un lavoro enorme di presa di coscienza collettiva, di cambiamento del modello di vita di ogni singolo, di sviluppo di nuove soluzioni, insomma cose molto complesse e dai tempi lunghi.
Ma questo richiede fatica, perseveranza, capacità di adattamento, la consapevolezza che bisogna uscire dalle nostre “comfort zone” altrimenti sarà la Natura stessa a farcene uscire e non saranno modalità troppo delicate.
Dal caldo afoso ci hanno buttati nel dramma del freddo inverno, dalle immagini di fiumi in secca, di informazioni su come proteggerci dal caldo torrido restando praticamente in mutande, adesso ci prospettano mesi in casa con sciarpe e giacche a vento e piumoni, l’unica costante pare essere quella che resteremo in mutande.
Ho come l’impressione che alla risposta a problemi complessi, che prevede ritorni nel medio lungo periodo e anche scelte nel breve impopolari, la politica, in senso lato, preferisca spostare di volta in volta l’attenzione sul prossimo dramma, tanto l’estate è alle spalle, e per la prossima il problema sarà di qualcun altro, o meglio di tutti.

28203F2D-4B38-48D9-9594-488173A111E7
E565FDD3-AE16-4431-B53C-E23552889144

Silvia Leto

NON E’ VERO CHE L’OPINIONE DELLA GENTE NON CONTA

È dolorosamente vero che stiamo attraversando un sempre e crescente distacco tra cittadini e istituzioni. Nella maggior parte delle democrazie contemporanee le persone si stanno allontanando dalla politica, ambito della vita spesso associato a sentimenti negativi nei confronti di una classe politica percepita come inadeguata e corrotta. Il risultato che ne deriva è nella maggior parte dei casi identificabile con qualunquismo, disinteresse, protesta, più o meno consapevole o spesso apatia e senso di smarrimento. Tutto questo è indice che qualcosa di grave si sta abbattendo sulla nostra società: una radicale perdita di fiducia nella democrazia come veicolo di cambiamento ed emancipazione sociale, che oggi interessa tutte le classi sociali.

 

In questi giorni, ho avuto modo di partecipare ad una raccolta firme promossa dal gruppo “Cuorgnè C’è”, per la riapertura del pronto soccorso di Cuorgnè, la mia città natale. Bene, nonostante la sensazione generale di diffuso senso di scetticismo e di disillusione che si percepisce parlando con i cittadini, ho potuto toccare con mano quanto sia importante tornare “tra le persone” a fare la “Vera politica”. Tantissime le firme raccolte per la causa. Le persone, se coinvolte su temi importati e davvero vicini alle esigenze della vita di tutti i giorni, come la necessità sacrosanta di un presidio di primo soccorso, prendono parte alla discussione, manifestano la loro voglia di appartenere ad una comunità democratica e ci mette la faccia. Tante le parole scambiate, le speranze e le attese percepite. Si tratta di un vero successo che va oltre il simbolo politico, oltre il colore della bandiera e delle ideologie. Una firma per il territorio, per dare valore e assistenza al Canavese e ai suoi abitanti.

 

Magari la petizione non servirà a nulla, come molti si sono lasciati sfuggire su internet e sui giornali, ma tutto ciò evidenzia il problema, mette nero su bianco quali sono le aspettative del cittadino, sottolinea una necessità e pone un quesito ben chiaro alla classe politica che ci governa, a cui si deve dare risposta al più presto nelle sedi opportune.

 

Concludendo penso che se è vero, per un verso, che sempre più cittadini si sono allontanati dalla politica, dalla parte opposta, è anche vero che è la politica stessa ad essersi ritratta e sottratta allo sguardo e alle “necessità” delle persone comuni.

 

Spero in una repentina inversione di marcia…

image0
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

LA FUGA DAL VOTO

Non è semplice analizzare le cause di questo costante allontanamento dal sacrosanto diritto di voto da parte dei cittadini. Di certo non ho la presunzione di avere la competenza per fare analisi ben più complesse ed articolate di questa che sto scrivendo; ci sono luminari della materia, politologi, sociologi, economisti che possono dissertare per ore e con competenza sull’argomento, ma da cittadino che cerca di capire, da cittadino che ha cercato di amministrare al meglio la propria comunità passando proprio attraverso lo strumento dell’elezione diretta del Sindaco e che quindi ha dovuto cimentarsi con il giudizio popolare, mi pongo delle domande e mi sento di condividere con Voi alcune riflessioni.

Che il modello della rappresentanza come l’abbiamo conosciuto dal dopo guerra ad oggi sia in crisi e non soltanto in Italia è palese. Quindi la prima domanda che mi pongo è: il modello della democrazia che abbiamo utilizzato in questo breve periodo storico non funziona più? Se così fosse quale nuovo ordine ci dobbiamo aspettare? Sicuramente l’accelerazione di alcuni fattori quali la veloce interconnessione di un mondo sempre più globalizzato anche, ma non solo, dalla digitalizzazione, ha generato un’economia con dicotomie sempre meno “equilibrate”, “pochi sempre più ricchi” molti “sempre più poveri” andando ad erodere quella media borghesia che era il cuscinetto naturale per la compensazione, una sorta di “clearing house”.

Nella parte del Mondo “occidentale” anche il liberismo ha subito trasformazioni di non poco conto così come in quella “post sovietica” il dissolvimento dell’economia socialista pianificata. In questo contesto quasi sottotraccia nella sua fase iniziale poi via via imponendosi è emerso con forza un modello che potremmo definire un’ibridazione dei due precedenti, certo semplificando di molto il concetto, quello Cinese.

Questo per evidenziare come soprattutto nel vecchio continente, vera culla della Politica, la stessa Politica abbia perso quel ruolo di indirizzo e di visione per le politiche economiche, ma anzi abbia sempre più subito le leggi di un mercato che cresceva e mutava così velocemente per il bizantinismo di una politica incapace di anticipare gli eventi e quindi non più in grado di governarli.

Una oggettiva perdita di credibilità ha via via fatto venir meno certezze e rispetto anche, purtroppo, verso le diverse Istituzioni e quindi minato le fondamenta del modello stesso dando vita a periodiche spinte populiste che poi si sono sempre dissolte come neve al sole, lasciando però ulteriori strati di confusione e insoddisfazione e nel caso specifico dell’Italia un debito pubblico che non è più sostenibile e che soprattutto non ha generato quell’ammodernamento di cui abbiamo bisogno.

La rassegnazione del: “Sono tutti uguali” purtroppo è scesa in profondità e pur nella consapevolezza che non sia del tutto vero, non si è mai riusciti a dimostrare concretamente il contrario. Le ideologie del novecento mi paiono del tutto annacquate, ci si misura più sul consenso del breve periodo seguendo le indicazioni ora di questo, domani di quel sondaggio e l’impressione di vivere alla giornata più per tutelare le posizioni acquisite che per costruire opportunità alle nuove generazioni ha fatto il resto, allontanandole sempre di più dalla vera essenza della Politica e quindi anche dall’esercizio del voto.

Ora ho come l’impressione che per rompere questo circolo vizioso e ripartire con vecchi o nuovi schemi di gioco votati al medio lungo periodo si dovrà passare da un momento di rottura, non solo economica ma anche culturale, sicuramente ci sarà chiesta la capacità da sempre insita nell’uomo di essere “adattivi”, e quindi di uscire dalla nostra “comfort zone”, lasciare delle certezze per affrontare nuove sfide.

Se fossimo stati più lungimiranti avremmo corretto prima la traiettoria, adesso rischiamo di essere sulla traiettoria.

politica
E565FDD3-AE16-4431-B53C-E23552889144

Silvia Leto

Cultura

ARTE COME POSSIBILITA’ PER RILANCIARE UN TERRITORIO

La valorizzazione di un territorio parte anche e soprattutto dalla visione che abbiamo Noi abitanti del territorio stesso. Una visione stanca e retrograda, ancorata a vecchi cliché o ad una storia intensa ma superata per fattori economici, tecnologici e sociali, non può che affossare e far morire quel territorio. Questo paradigma può essere applicato genericamente ad alcuni paesi o città del nostro Canavese, piccoli borghi di montagna un tempo fortemente abitati e vissuti, che hanno perso la loro energia vitale poiché legata ad una realtà industriale che sfruttava la loro collocazione per la produzione industriale, portando di riflesso ricchezza e benessere. Ad oggi non ci rimane che una fotografia sbiadita di quella memoria. Nell’immaginario comune infatti il borgo ha una duplice valenza: quella romantica, legata al luogo inteso come paradiso lontano dal caos cittadino, e quella problematica legata alla visione di luoghi senza speranza, luoghi dell’abbandono, contesti fragili ma con ampie possibilità. Questa situazione è tipica di molte zone interne, quelle aree significativamente distanti dai centri di offerta di servizi essenziali (di istruzione, salute e mobilità), ricche di importanti risorse ambientali e culturali e fortemente diversificate per natura e a seguito di secolari processi di antropizzazione. Queste aree appaiono caratterizzate da sfide sociali complesse e problematiche che investono molteplici ambiti tra loro correlati, come: sanità e cure di prossimità, scuola e formazione, imprenditorialità, lavoro e sistema economico, mobilità, integrazione e inclusione sociale, i cui effetti mutano nel tempo e indeboliscono le comunità locali. Ancora lo spopolamento, la riduzione della natalità, la conflittualità politica, l’abbandono scolastico, la qualità dei servizi pubblici, la riduzione degli investimenti e bassa imprenditorialità sono alcuni tra gli effetti negativi sempre più evidenti che hanno un impatto sulla qualità della vita in tali contesti. Questi luoghi possono però rinascere e tornare a vivere attivamente una nuova e consapevole “età dell’oro”. Per fare ciò è necessario abbandonare la classica immagine delle aree rurali e periferiche, interpretandone la realtà potenziale: il borgo, il paese di montagna, la cittadina della periferia, non è solo luogo di ritiro, di isolamento, ma luogo che può essere vissuto attivamente. Al fine di alimentare processi di sviluppo di comunità, in primis si necessità di una leadership pubblica diffusa e credibile, che deve instaurare robusti e duraturi percorsi di collaborazione tra settore pubblico, privato e volontariato che siano in grado di alimentare i beni comuni del territorio. Ma non solo. Le pratiche artistiche in questo caso possono aiutare a rilanciare queste realtà, rimettere in gioco i ruoli e diventando protagonisti d’avanguardia sulla scena artistica e culturale. La chiave del cambiamento sta nel decostruire certe narrazioni consolidate, aprendo nuove e ampie prospettive. L’aspetto culturale è fondamentale, assieme ai servizi primari, per rendere attrattivi i nostri paesi, i territori delle aree interne, che custodiscono già naturalmente e storicamente le pratiche del ‘buon vivere’, perché hanno dalla loro parte il vantaggio della bellezza, della storia e della natura, ma che ora hanno bisogno di un ritorno alla “pratica della socialità”, e l’arte, da sempre, svolge un ruolo sociale. L’arte e gli artisti possono dare valore ai luoghi, cercandone l’anima, l’essenza e cogliendone la trasformazione. D’altro canto, possiamo affermare che l’arte è ovunque, nelle case, negli abiti, negli oggetti, nella natura. Il grande potere dell’arte è che le cose possono essere percepite diversamente da come normalmente ci appaiono. Con questo non voglio banalizzare dicendo che l’arte è la medicina di tutti i mali, ma sicuramente (lo testimoniano tante realtà in cui si sono sviluppati progetti incentrati sul tema artistico legato al territorio e al contesto urbano, ad esempio: “Cielo aperto” di Latronico in Basilicata, “Arte all’arte” di San Gimignano, “Ca’ Mon” centro di Comunità per l’arte e l’artigianato della montagna a Monno, “Arte Sella” in Val di Sella in Trentino, Farm Cultural Park a Favara in Sicilia) i nostri borghi dovrebbero puntare seriamente sui luoghi della cultura e sulla bellezza unica che ci circonda per strutturare il proprio futuro. Oggi il ruolo territoriale degli spazi culturali si amplia, si diversifica e si trasforma sino ad assumere caratteri del tutto imprevisti e sorprendenti: grazie alla tecnologia le distanze si sono annullate e la conoscenza è divenuta globale, per cui accade che progetti originali possano dare origine ad insiemi multidisciplinari capaci di intercettare contemporaneamente diverse esigenze culturali, formative, artistiche ed esperienziali, portando risultati che vanno al di là degli obiettivi strettamente artistici, ma creando un’opportunità che promuove diversi aspetti dello sviluppo territoriale come quello economico, grazie ai nuovi flussi di visitatori che generano impiego; quello sociale, poiché assistiamo alla formazione di reti formali e informali tra gli attori locali; e quello sostenibile, perché rendere “artistico” un territorio contribuisce alla tutela e alla valorizzazione dell’ambiente stesso, innescando nuove potenziali possibilità di miglioramento e di crescita.

Arco di Pomodoro
47DACE42-9132-4D05-923A-7351D7808308

Tiziana Adage

Economia

UNO SLOGAN PER LA PROVENIENZA CANAVESANA

Non posso dire di provenire da una famiglia contadina, ma mia madrina e le mie prozie erano coltivatrici dirette e i miei genitori avevano un orto stupendo che con il lavoro dei miei nonni, e il mio piccolo contributo, produceva ogni ortaggio che si potesse desiderare.

Per le prime tre decadi della mia vita ho mangiato prodotti che venivano direttamente dal nostro orto, o da quello dei miei parenti e dalle loro stalle. Come dimenticare le uova e il latte fresco, il burro, i tomini e le tome, gli animali da cortile.

La tradizionale macellazione del maiale, fatta solitamente a febbraio, e la preparazione del salame da stagionare o mettere sotto grasso nella doja, il salame patata, le quaiette, le fresse fatte con la carne di maiale, fegato uova e uva sultanina e coperte con la sierosa, i budini (sanguinacci), le grassette (ciccioli)… potrei continuare per ore.

Il Canavese offre tantissimi prodotti locali, e alcuni hanno ottenuto anche la denominazione di prodotto agroalimentare tradizionale italiano (PAT). Mi vengono in mente il Civrin della Valchiusella e la tuma d’Trausela, il salame di turgia e la mocetta. Tra i prodotti agricoli la meliga (mais) della varietà antica pignoletto rosso, la piattella di Cortereggio delizioso fagiolo bianco anche presidio slow food, o il cavolo verza di Montalto con cui fare dei deliziosi caponet.

Infine, ci sono i prodotti tipici del parco del Gran Paradiso, le decine di mieli locali, e i vini DOCG (Erbaluce di Caluso: fermo, passito e spumante) e DOC (Carema, Canavese rosso o bianco). Chiedo scusa in anticipo per i prodotti non menzionati, probabilmente per mera ignoranza della loro esistenza.

Il concetto di prodotto a km zero e stagionale è per me così intrinseco nella mia cultura che a tutt’oggi, con il disappunto dei miei famigliari, mi rifiuto di comprare verdura o frutta non di stagione (ho comprato appena oggi le prime fragole).

Qui in Stiria, dove vivo ormai da più di un decennio (dal verde canavese al cuore verde dell’Austria, vedete un filo conduttore?) ho inizialmente faticato a trovare prodotti che rispondessero alle mie esigenze di acquisto e le etichette, che qui in Austria contengono molte meno informazioni rispetto a quelle italiane, non servivano.

La catena di supermercati SPAR, da un po`di anni, mi è venuta in aiuto segnalando sui propri scaffali con la scritta “ich bin ein steier” (io sono stiriano) più di 5000 prodotti provenienti dalla regione.

Non so se sia stato un atto di pura preveggenza da parte del marketing, che ha anticipato un sempre più marcato interesse dei consumatori, o se ci sia stata una spinta da parti dei produttori, ma io la trovo una iniziativa vincente per dare valore alla regione, ai suoi produttori e ai suoi prodotti.

Chissà che la prossima volta che calerò in Canavese (dopo aver fatto pasqua nella mia tana, come da Carducciana memoria) sugli scaffali non ci sia la scritta: Io Sono Canavesano.

salame-patata
0FB86347-53B4-4A84-A2E7-296B5D6FB7A8

Ombretta Bertoldo

Economia

ESSERE NOMADI - IL CANAVESE PUO' ATTRARRE

Il concetto di nomadismo ha un’accezione positiva o negativa?

Nel mondo del lavoro, il termine è stato spesso affiancato, negli scorsi anni, a quello di precario: senza posto fisso, nomade, appunto, da un lavoro all’altro. Con lo sviluppo del lavoro da remoto, conosciuto anche come smart working o lavoro agile, il concetto assume tutta un’altra valenza. Diventa un modo di lavorare ambìto, visto dai più come possibilità di staccarsi dallo stereotipo delle lunghe code in macchina o pesanti viaggi da pendolare per raggiungere il luogo di lavoro, conciliando così anche vita privata e professionale. Le professioni che meglio riescono e riusciranno a beneficiare di questo tipo di politica del lavoro sono quelle digitali. Il lavoratore che necessita solo di pc, telefono e poco altro per essere operativo può essere un nomade digitale felice.

Quali sono i trend oggi, in Italia ed Europa? Secondo una ricerca del Politecnico di Milano, il lavoro smart resterà in larga percentuale anche oltre l’emergenza sanitaria: per l’89% nelle grandi aziende e nel 62% di quelle della Pubblica Amministrazione.

Secondo Eurostat, l’Italia in generale è appena sotto la media europea della diffusione dello smart working, con il suo 12%. Il Paese con maggior diffusione è la Finlandia (25%), seguita da Lussemburgo ed Irlanda. A livello di percezione di gradimento del fenomeno, altri dati indicano che il 64% degli italiani è attratto dal nomadismo digitale.

Secondo il mio parere, questa tendenza non è una moda, ma è destinata a diventare sempre di più un fenomeno sociale consueto. Sarà interessante vedere come evolverà la legislazione in materia e, prima ancora, come reagirà il tessuto imprenditoriale italiano a questo evento.

Al di là degli impatti organizzativi e sociali del fenomeno sono particolarmente attratta da quelli sull’ecosistema in cui viviamo. Se davvero l’ufficio, in qualche modo, può essere “spostato”, perché non spostarlo in qualche posto bello. Chi può essere interessato a vivere nei dormitori e nelle periferie, senza alcuna attrattiva, se non quella di avere la comodità dei mezzi per andare al lavoro? Penso che molti luoghi rurali, anche distanti dai grandi centri, possano avere un nuovo sviluppo. Sento sempre più spesso parlare giovani che decidono di lasciare la città, alla ricerca di un ambiente più confortevole in cui vivere. Il fatto di poter essere nomadi digitali sicuramente è un fattore determinante in queste scelte di vita. Mi piace pensare alle nostre zone come veri e propri “incubatori” di nuova vitalità, di nuove comunità che scelgono il posto in cui vivere non in funzione della distanza dal posto del lavoro. Comunità fatte di persone che, trascorrendo più tempo nello spazio prescelto, abbiano anche maggiore cura del territorio, si sentano parte del sistema e contribuiscano a renderlo vitale, ricco intellettualmente ed esteticamente piacevole.

E05EC93C-89B0-437F-9FB7-56A5C7FA9EA8
Massimo Motto

Massimo Motto

Politica

E' TEMPO DI AGIRE UNITI

Le mie radici sono qui, in questa terra. Nato e cresciuto in una frazione in cui ero il solo bambino residente, il mio paese, Pont, è stato per me sempre il “centro del mondo”.
La borgata in cui sono cresciuto gode di una particolare ed unica posizione panoramica che mi ha permesso di ammirare quotidianamente il paesaggio dall’alto e così facevo ogni giorno fino ad innamorarmene perdutamente.

Non potevo eludere questo amore e l’interesse che lentamente mi scorreva nelle vene, per cui, appena giunta la maggiore età, mi sono buttato a capofitto in tutto ciò che riguardava la politica amministrativa. Era il lontano 1986, e quante cose sono cambiate da allora. Sia in me ma soprattutto intorno a me. Quante ne ho viste e quante ne ho vissute….!

Ho assistito alla continuazione ed alla fine del “risorgimento” Canavesano. Ho vissuto, in diversi ruoli politici, quasi inerme, il decadimento del nostro territorio ma ciò non mi preclude affatto, anzi, la necessità ora più che mai in virtù degli ennesimi eventi che ci stanno piombando addosso, di provare a svoltare. Non esiste via d’uscita o tentativo che dir si voglia, se non quello di fare veramente squadra, mettendo in pratica quel termine tanto politicamente di moda ma solo teoricamente, in questo momento enunciato, che si chiama sinergia. È necessario mettere insieme i campanili e soprattutto mettere da parte gli individualismi. Facile da dire eh? Nel pratico continuo invece a vedere intorno a me la politica che sa guardare troppo spesso solo al “proprio zerbino di casa”.
So che è una considerazione un po’ cruda ma è la realtà.
“Basta teorie Motto”: ho imparato, a mie spese, che la pratica è l’unica cosa che può farci svoltare. Mi ripeto: mai come ora il Canavese ha l’assoluta necessità di svoltare altrimenti siamo veramente “fregati”. Noi e chi verrà. Usiamo il riferimento dell’esperienza di chi ha vissuto in modo trasparente e pulito anni di politica Canavesana come ad esempio Beppe, uno dei fondatori di “Canavese al Centro” ma togliamoci la maschera, abbassiamo le tonalità dei colori dei partiti politici, togliamoci l’egoismo paesano e facciamo del Canavese un Paese solo.
Non è più tempo per provarci, è tempo di fare.
Vogliate scusare la mia franchezza, e se eventualmente qualcuno dei lettori dissentirà dalle mie considerazioni chiedo loro solo di guardarsi intorno e di riflettere per un attimo: capirà quello che sta accadendo al nostro Canavese e le tante potenzialità inespresse da valorizzare.

politica
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

Sanità

NUOVO OSPEDALE DEL TERRITORIO, LA TERZA VIA

Parlare di Sanità è sempre complesso sarà che le cifre in gioco sono sempre molto grandi, circa il 70-80%, del budget di una Regione, sarà che la pandemia ha portato ancor più in evidenza punti di forza e di debolezza, sarà che è un importante centro di potere, infine ultimo ma non ultimo, sarà che dovrebbe interessare un po’ tutti noi.
Da amministratore ho toccato con mano la complessità della materia, le lotte tra le varie fazioni, o meglio le istanze dei diversi portatori di interessi quelli che gli anglosassoni ci hanno abituati a chiamare “stakeholder” (di cui le Comunità sono parte fondamentale).
Per restare sul nostro territorio del Canavese, si ha la consapevolezza della complessità della nostra ASL (Azienda Sanitaria Locale): un territorio estremamente vasto, con morfologia variegata, carenza di personale (per una errata programmazione che arriva da lontano).
Si è molto parlato di nuovi modelli di “medicina del territorio” (ed ammetto la mia ignoranza, ma nonostante le numerose riunioni a cui ho partecipato, non ho capito che cosa realmente s’intenda). La tecnologia, altro elemento di cui si parla da molto ma che poi bisognerebbe concretizzare, può in parte sopperire alle oggettive limitazioni della viabilità e del trasporto pubblico, ma anche qui alla base occorre in primis connettere digitalmente le Comunità, tutte, quelle più grandi e quelle più piccole.
Le risorse pare non siano più un problema, il PNRR sembra essere la panacea per la soluzione strutturale di criticità che si trascinano da decenni, anche se gli scenari in continua evoluzione mi portano a pensare che non sarà proprio così.
Sommariamente definito il contesto, passiamo alle cose concrete!
Nelle ultime settimane si fa un gran parlare (e ritengo sia un bene) della collocazione del nuovo Ospedale, per qualcuno di Ivrea, per altri del Canavese.
Mi permetto di fare anch’io una considerazione sull’argomento, prima però, sarà per campanilismo, vorrei essere ancora più concreto e portare all’attenzione un passaggio che a prescindere dalla collocazione del nuovo nosocomio è imprescindibile e si innesta proprio nel sistema di rete “territoriale sanitaria” che avrà come Ospedale cardine quello eporediese.
E’ indispensabile contestualmente valorizzare gli Ospedali già esistenti e non è più procrastinabile la riapertura del Pronto Soccorso di Cuorgnè, tra le altre cose nuovo e funzionale per un territorio montano di cui è riferimento.
Passando alla collocazione del nuovo Ospedale da quanto ho letto e per quanto mi sono informato, ritengo che la terza via, quella che propone la rifunzionalizzazione del complesso del Palazzo Uffici di Ivrea possa a mio giudizio essere ottimale per alcuni oggettivi ma significativi aspetti: è baricentrica e facilmente raggiungibile dai due bacini (quello Alto Canavesano e quello Eporediese), insiste comunque su Ivrea, non prevede il consumo di ulteriore suolo ma la rifunzionalizzazione di architetture che il mondo ci invidia, è inserito nel verde ma al contempo nel perimetro urbano, prevede una compartecipazione pubblico/privato. Non so esprimermi sulla complessità della fattibilità, ma sicuramente si potrebbero realizzare significative sinergie con progetti che già insistono su quel complesso e/o che sono in itinere e che passano dalla formazione alla tecnologia tanto necessaria al comparto della telemedicina.

Nuovo Ospedale
7A8D37EF-CEEB-409E-A3E7-CA361DA43895

Luigi Vercellino

Ambiente

PARCO NAZIONALE DEL GRAN PARADISO: UNA FASE DELICATA

Lo scorso 22 aprile a Roma, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, si sono svolti gli eventi celebrativi del centenario del Parco Nazionale del Gran Paradiso (insieme al Parco Nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise – novello “centenario” anch’esso.
Nel suo discorso ufficiale il Presidente Italo Cerise ha delineato in modo lucidissimo cosa è stato e cosa è diventato oggi il nostro Parco. Nato nel 1922 sul territorio che era stato riserva di caccia della Casa Reale Sabauda, ha avuto quale compito primario quella della tutela di specie a rischio di estinzione, lo stambecco in particolare.
Tutela quindi. Difesa, salvaguardia. Il Parco, anche attraverso le donne egli uomini del Corpo di Sorveglianza, ha eretto un muro a difesa della fauna selvatica (e della flora, ovviamente), contro tutti i pericoli che ne mettevano a repentaglio la sopravvivenza, ed in particolare contro il più devastante: il bracconaggio. Anni di lotta, in alcuni momenti di guerra vera e propria, con personaggi capaci di azioni straordinarie. Io l’ho toccato con mano, essendo stato mio nonno uno dei bracconieri più incalliti del primo dopoguerra.
Questa lotta, queste tensioni, unite alle politiche di tutela (e di divieti), non hanno fatto amare particolarmente il Parco da parte delle popolazioni valligiane. Il Parco era considerato un vincolo, un freno, un insieme di proibizioni. Nessuna possibilità di vederci una opportunità. Per molti, quindi, un Parco “nemico”. Ma questo nemico ha centrato l’obiettivo, in quanto lo stambecco non si è estinto, anzi è ormai diffuso in buona parte dell’arco alpino. E l’ecosistema tutelato dal Parco vanta una ricchezza pressoché unica. Un risultato straordinario, senza alcun dubbio.
Ma il Parco non è solo difesa e tutela, lo dice anche il suo Statuto: deve porsi in relazione con le popolazioni locali, coltivando progetti di sviluppo ambientale, culturale, sociale ed economico.
Faccio parte del Consiglio Direttivo del Parco ormai da quasi cinque anni, ed il principio dello “sviluppo locale” è stato il principale obiettivo strategico, accanto a quello della “tutela”, che il Presidente Cerise ha costantemente perseguito con grande abilità e professionalità. Italo è stato un ottimo Presidente. Di origine valdostana, è stato capace di gestire entrambi i versanti, piemontese e valdostano, con equilibrio ed equità.
Molti sono i progetti proposti da lui che io ed i miei colleghi Consiglieri, quasi sempre in modo unanime, abbiamo sostenuto, che hanno portato risorse concrete ai Comuni delle Valli. L’aria è cambiata, un Parco più “amico”, più vicino.
I prossimi mesi saranno di grande importanza, in quanto in estate scade il mandato del Presidente ed insieme ad esso quello del Consiglio Direttivo.
Sarà un passaggio molto delicato, in quanto Italo Cerise non è più nominabile per limiti normativi di numero di mandati. Ci sarà un altro Presidente, nominato dal Ministero, su intesa con i Presidenti delle Regioni Piemonte e Valle d’Aosta.
Una regola non scritta prevede che questa volta tocchi ad un piemontese. Lo dico chiaramente, non ho velleità personali: anche se devo ammettere che ritengo il ruolo di Presidente assolutamente affascinante, la mia attuale professione non lo permette in quanto sarebbe normativamente incompatibile. Proprio per questa ragione mi permetto di esprimere alcune idee, sulla base della esperienza di questi anni, a proposito delle capacità che il nuovo Presidente dovrà possedere, chiunque esso sarà.
Capacità di ascolto. Come ho già sostenuto più sopra l’aria è cambiata e le popolazioni locali, come i vari stakeholders territoriali, si aspettano che il Parco sia un partner affidabile in termini di sviluppo prospettico. E’ necessario proseguire con questa attenzione nei confronti dei Sindaci, delle Associazioni, delle Aziende, delle persone.
Capacità gestionale. L’Ente Parco è un soggetto pubblico denotato da una caratteristica organizzativa complessa. Da un lato le regole di funzionamento (normativamente stabilite), dall’altra le donne e gli uomini che vi lavorano: la gestione non si improvvisa, soprattutto se consideriamo il fatto che il nostro è l’unico Parco con un proprio Corpo di Sorveglianza. Grande vanto, professionisti di grande valore, che oltre al Direttore ed agli altri Dirigenti devono ritrovare nel Presidente e nel Consiglio persone con sensibilità gestionali ed organizzative.
Capacità nelle relazioni istituzionali. Il Gran Paradiso è uno dei Parchi più importanti di Italia, se non il più importante. I rapporti con il Ministero, con le Associazioni di categoria, con gli altri parchi ed aree protette nazionali ed internazionali richiedono al Presidente la capacità di gestire e qualificare culturalmente le relazioni istituzionali.
Capacità amministrativa. Il Parco ha sviluppato in questi anni un numero considerevole di progetti, molti dei quali hanno ottenuto finanziamenti anche di notevole entità. E’ ora necessario mettere a terra questi progetti, realizzarli. Ed è necessario farlo con equità, lungimiranza, visione strategica, accortezza amministrativa, unitamente alla partecipazione condivisa con i soggetti partner.
Il prossimo futuro porterà a scelte, da parte dei soggetti istituzionali preposti, molto delicate. L’auspicio è che si possa proseguire sulla strada fin qui intrapresa, continuando a seminare per un raccolto ricco di opportunità per le nostre Valli e per il Canavese nel suo complesso.

28203F2D-4B38-48D9-9594-488173A111E7
3397D0CC-891C-4A96-BA09-3429A00E9D0F

Luca Sgarbossa

Ambiente

ALZIAMO IL VOLUME DEL CANAVESE

Alcune settimane fa mi trovavo ad accompagnare un gruppo di escursionisti sul Monte Soglio, balcone naturale delle prealpi affacciato sul Piemonte, da cui si vede gran parte del nord ovest della nostra regione e si abbraccia quindi l’intero Canavese. 
Il gruppo che accompagnavo, nato dall’attività della neonata associazione Hikers di cui sono cofondatore, era composto da persone provenienti da un’area molto vasta del Piemonte: Torino, Casale Monferrato, Chivasso, Verbania, Alba per citare alcune delle città da cui la mattina di buon ora, erano partiti i partecipanti per raggiungerci sul punto di ritrovo, poco sopra Alpette. 

In me è sorta una sensazione con cui sto imparando a confrontarmi. In un’occasione del genere infatti mi sono sentito come se avessi organizzato una festa, uno di quegli eventi a cui tieni molto, che senti profondamente tuo. A cui, per esempio, hai invitato ad esibirsi un gruppo musicale che ascolti da quando sei piccolo, che suona pezzi che per te vogliono dire molto e a cui hai legati un’infinità di ricordi.

Bene, ora per quanto si stimi tale gruppo, sappiamo anche che a questa ipotetica festa costa partecipare, se non in senso strettamente economico perlomeno come impegno. Qualcuno dovrà svegliarsi presto, per giunta di domenica e attraversato mezzo Piemonte, vorrà cercare in questo evento soddisfazione per la propria giornata libera settimanale. Un giorno “Sacro” per via del fatto che è uno, dopo sei, che invece si dedicano ad ascoltare “rumore” obbligato del lavoro piuttosto che la “musica preferita” (se vogliamo continuare con il parallelismo con la festa).

Invitando quindi qualcuno a partecipare si inizia a sperare che ciò che gli si propone sia di suo gradimento. “E se poi non piace?” Dubbio in quei casi legittimo. 

Quando mi sono trovato a parlare con Federica Figliuolo di Hikers, l’associazione che meditava di fondare, e delle proposte di escursioni nel nostro Canavese, mi sono chiesto, con umiltà dovuta in questi casi, se la “musica” che da sempre mi piace, ovvero le bellezze e le opportunità delle nostre montagne, sarebbe stata gradita anche ad altri. Se proponendo le escursioni nella nostra zona avremmo soddisfatto il nostro pubblico. Se ciò che per me è sempre stato casa e consuetudine, per qualcuno poteva essere eccezione, novità e meraviglia. Se la gente accorsa sotto il palco delle nostre cime avrebbe ballato al ritmo dei nostri panorami o se ne sarebbe stata ferma in disparte pensando che sarebbe stato meglio dormire. Ebbene a giudicare dal risultato la melodia del Canavese incontra il gusto di molti che sono più che convinti che meriti svegliarsi presto e venire ad ascoltarla per una giornata intera, la più preziosa della settimana fra l’altro. Guardarsi attorno salendo da Mares verso la cima e vedere lo stupore e il gradimento negli occhi e nei commenti degli escursionisti con me, mi ha convinto ancora una volta che ci crediamo ancora troppo poco. Spaventati che la gente non balli sulle nostre note ci limitiamo a fischiettare le nostre bellezze fra noi e noi, senza condividerle. Un misto di paura e timidezza? Sfiducia nelle nostre risorse? Confesso che anche io talvolta ho dubitato da buon Canavesano ma non posso non riconoscere in tanti canavesani come me lo stesso sentimento. La mia vuole essere la testimonianza di una sonora smentita, la confortante conferma che abbiamo le carte in regola per invitare e soddisfare orecchie esigenti e intenditori proponendo loro luoghi, prodotti ed esperienze degne di essere promosse con maggiore convinzione e fiducia. 

Se è vero infatti che nasciamo in un contesto non abituato a contare sulle proprie attrazioni, ci si ricrede subito non appena ci si trova a provarci veramente. Si incontrano persone come Federica, come Silvia Russello, come Valerio Khrolenko anche loro cofondatori di Hikers. Persone che credono nell’esibire il Canavese e le sue bellezze. Una delle realtà che sono partite e crescono dal Canavese e si espandono in tutta Italia e oltre che mettono al pari di altri territori conosciuti e blasonati le bellezze Canavesane riscuotendo approvazione e consenso.

 Le nostre zone sono capaci di intrattenere, far divertire e vivere momenti indimenticabili al pari di posti che noi stessi canavesani siamo ormai rassegnati a considerare in qualche modo migliori. Non ci facciamo sentire, bisbigliamo il nostro meglio mentre altre aree d’Italia e d’Europa hanno preso coraggio e consapevolezza della propria voce e cantano a pieni polmoni ciò che hanno di bello da raccontare anche addirittura quando è meno di quanto avremmo potenzialmente da poter fare noi. 

Certo qualcuno potrebbe obiettare che in talune occasioni e in determinate situazioni abbiamo fatto sentire la voce delle bellezze del Canavese. Possiamo però parlare di un vero e proprio concerto? Un evento che faccia sentire gli spettatori parte di qualcosa di grande? O si tratta piuttosto di isolati “artisti” (qui nella nostra metafora impersonati da enti, associazioni, comuni ecc) che portano con grande sforzo la propria arte rischiando di suonarsi reciprocamente addosso sovrastandosi e coprendo l’un l’altro la propria esibizione? 

C’è bisogno di maggiore coordinazione, c’è bisogno di un direttore d’orchestra che coordini il tutto, che dia il tempo. C’è bisogno di uno sforzo corale e di un progetto, uno spartito comune cui ognuno, con il proprio strumento potrà dare contributo. 

Mi sono quindi convinto che dobbiamo credere di più in noi stessi, nel nostro territorio, risorse e prodotti, nei nostri strumenti, con modestia ma anche con la consapevolezza che abbiamo un pubblico che è pronto ad applaudire ciò che abbiamo da offrire. Abbiamo bisogno di una visione comune che renda il tutto musica e armonia e non caos o rumore. 

Alziamo quindi il volume, iniziamo a far sentire e diffondere le nostre bellezze, i nostri valori. Sono convinto che riceveremo l’applauso che merita la nostra terra. 

6ECA8441-A28A-44D2-B41F-429BB9A56C35
47DACE42-9132-4D05-923A-7351D7808308

Tiziana Adage

Canavesani nel mondo

Una LOSA in Canavese?

Lavorando da sempre nel settore farmaceutico, ed essendo originaria del Canavese, non posso che seguire con interesse l’esito dello studio di fattibilità condotto dal Consorzio Insediamenti Produttivi con sede nel Bioindustry Park di Colleretto Giacosa, e il contributo della Camera di Commercio di Torino, della creazione di un hub logistico riservato a questo settore.

Ha l’acronimo LOSA, il proposto centro LOgistico per la SAlute basato su un modello di distribuzione dei farmaci e dispositivi medici centralizzato a livello regionale, che concentri in un solo luogo tutte le attività attualmente distribuite in un gran numero di depositi decentralizzati gestiti dalle circa 300 aziende autorizzate del settore.

Della necessità di centralizzare la logistica della salute si parlava da tempo, ma è stata resa più evidente recentemente pandemia da COVID-19, che ha rappresentato una vera sfida per garantire una gestione efficiente dell’emergenza sanitaria e della puntuale distribuzione a ospedali e farmacie di medicinali, dispositivi di protezione individuale e kit diagnostici. In particolare, la distribuzione di vaccini necessita una grande capacità nel garantire il mantenimento della catena del freddo durante tutta fase di stoccaggio e distribuzione, la facile tracciabilità dei lotti distribuiti e la gestione delle scorte.

La possibilità della creazione di un primo centro logistico in Canavese che possa servire l’area nord-ovest del Piemonte, sarebbe un primo passo in questa direzione e consentirebbe di gestire in modo più efficiente la distribuzione di questa merce così preziosa per la salute della popolazione, e di partire meglio preparati nel caso di altre future emergenze sanitarie e sottolinea la posizione geografica strategica di questo territorio.

E05EC93C-89B0-437F-9FB7-56A5C7FA9EA8
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

Politica

L'UNICA COSA DA CAPIRE ADESSO, E' CHE FINISCA

E’ una domanda che ci poniamo tutti, dagli esperti o pseudo esperti nei talk show, di cui nessuno per evitare di essere additato come non “politically correct” può contestarne l’adeguatezza, a noi semplici cittadini: “ma perché dopo due anni di pandemia siamo finiti nel bel mezzo di una guerra?”.
Siamo ancora storditi da anni fatti di paure, drammi, silenzi, fatiche, applausi, eroi e truffatori, trasformatisi poi in diffidenza, sospetto, ignoranza, in alcuni casi stupidità, con la costante di eroi e truffatori, passando dalla “solidarietà” al “sospetto” a kilometro zero.
Il virus prima ci ha aggrediti nel corpo, poi ci ha fiaccati nello spirito in un loop fatto di stop & go, passando dall’economia, alla mente e così via ondata dopo ondata dentro questo circolo vizioso acuendone il disagio sociale.
Eravamo convinti che fosse la volta buona per rialzarsi, per uscirne, ci credevamo chi più chi meno ma in fondo tutti lo speravamo davvero, ed ecco che scoppia una guerra. L’avevano detto: “finiamo in letizia le Olimpiadi Invernali (senza neppur includere le Paraolimpiadi)” e poi fuoco.
L’avevamo vissuta un po’ come gli annunci di una nuova serie su Netflix: “E’ in arrivo la nuova stagione di …” non abbiamo neppure capito il riassunto che l’Europa si è trovata in guerra, ma non su un video gioco o su una serie TV, no non ci troviamo nel “metaverso” qui la gente, la povera gente, muore davvero, le case vengono distrutte, le persone lasciano la loro vita per salvarsi la vita e fuggono, se possono.
Tutti viviamo un po’ dell’ipocrisia che le altre guerre in fondo non fossero cosa nostra, perché le guerre non si sono mai fermate. Lampante l’ipocrisia di parte della classe politica, (non saprei quale delle due parole conservare), guerrafondai folgorati sulla via di Damasco, pacifisti che diversificano l’attività vendendo armi, aiutiamo gli ucraini con le sanzioni, ma poi se ci staccano il gas? aiutiamoli con le armi: alla Camera si al Senato no … scelte sulla pelle della gente che vengono fatte leggendo i sondaggi giorno dopo giorno nel tentativo di accaparrarsi la fatua benevolenza di qualche cittadino in più. Un più 0,2 val bene una Messa!
Adesso, e vedremo quanto dura, è nuovamente scattata la molla della solidarietà, come subito dopo lo stordimento della prima ondata della pandemia, poi però è sopraggiunto l’individualismo e quasi un certo fastidio direi.
Una solidarietà a queste famiglie a queste donne e bambini che nasce dal basso, in modo spontaneo, senza bandiere. Anche nel nostro Canavese tante sono le iniziative, abbiamo un grande cuore. Loro hanno bisogno di cose materiali ma anche di affetto, e vivono tutti nella speranza di tornare quanto prima nelle loro case o in quello che resta, ma con la caparbietà di ricostruirle.
La speranza di tutti noi … che questa guerra finisca subito, per loro ma anche per noi.

Guerra 3
7F191577-D43F-44A6-BEB8-B93483D136B1

Fabrizio Bertoldo

Politica

LA CAMPANA DELLA COMUNITA'

Il mondo che stiamo vivendo oggi, dopo una pandemia e all’inizio di una guerra che ci lascia increduli, ha rivelato le falle di un sistema in cui l’individualismo e il successo personale contano più di ogni altra cosa. Il Covid ci ha tolto la socialità, i momenti con gli amici, gli scambi di opinione e le feste di paese buttandoci nella sicurezza della propria abitazione che però è diventata sempre più piccola e a volte scomoda. I fatti in Ucraina hanno tirato una sberla così forte da dover rivedere tante posizioni e notare la necessaria utilità di farsi forza tra gli Stati per contrastare l’orribile. Insomma, nonostante tutto, abbiamo bisogno degli altri.

Anni fa rimasi colpito dal logo che Olivetti scelse per il suo movimento politico. Raffigura un campana attorniata da un nastro con su scritto “Humana Civilitas”. Fui affascinato dal simbolo della campana che suona e richiama. Nei racconti si sente spesso del richiamo delle campane per scandire le ore di lavoro, per spegnere un incendio o per sapere che la guerra è finita. Non feci caso alle parole scritte sul nastro, il simbolo della campana rapì la mia attenzione. Oggi però quel nastro riaccende in me la volontà di scoprire quella storia olivettiana, quindi canavesana, in cui due semplici parole vogliono dire tanto.

Vedendo i fatti che stanno accadendo sento il richiamo di quelle parole in cui si alza forte il significato dell’impegno civico, nel lavoro o nelle nostre passioni e penso che l’idea di Olivetti ritorni ancora più intensa. Quante volte, nelle associazioni del territorio, ci siamo detti di fare rete? Quante volte ci siamo resi conto che da soli avremmo fatto troppo poco per raggiungere l’obiettivo prefissato? Forse in quei casi serviva qualcosa di più.

“L’idea fondamentale della nuova società è di creare un comune interesse morale e materiale fra gli uomini che svolgono la loro vita sociale ed economica in un conveniente spazio geografico determinato dalla natura o dalla storia. “ Così inizia “L’ordine politico delle Comunità” scritto da Adriano Olivetti, l’opera che racchiude il concetto di comunità e tutti principi di una nuova e completa visione della vita di un territorio o di uno Stato.

Oggi più che mai abbiamo bisogno della comunità, perché ci siamo resi conto che da soli è tutto più complicato. Da quelle più ampie sovranazionali fino a quelle più piccole delle frazioni e borgate dei nostri paesi. Ci serve collaborare, progettare, risolvere in un’ottica di senso civico rinnovata e consapevole. Ci serve pensare che vicino alla nostra comunità, ne troviamo una simile disposta a collaborare unendo intenti e aprendosi al mondo. Ci serve, se non altro per renderci consapevoli che il nostro Canavese è una comunità di persone che vivono e promuovono un territorio ricco di storia e potenziale.

sociale
0FB86347-53B4-4A84-A2E7-296B5D6FB7A8

Ombretta Bertoldo

Innovazione

LA SFIDA DELLA FORMAZIONE 3.0

Un giorno Alice arrivò ad un bivio sulla strada e vide lo Stregatto sull’albero.

– “Che strada devo prendere?” chiese.

La risposta fu una domanda

– “Dove vuoi andare?”

Spesso si tenta di rispondere a questa domanda, nel mondo delle organizzazioni, in modi diversi. La formazione è una possibile risposta, che indica una strada percorribile, identificando mezzi a supporto per percorrerla.

Come parlare di formazione nel mondo attuale, senza cadere nei soliti cliché?

Partiamo da quello che sta accadendo a livello nazionale. La formazione è una delle voci più importanti contenute nel Pnrr-Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Una delle missioni del Pnrr riguarda le politiche per il lavoro, che ha a disposizione un fondo di circa 6,66 miliardi di euro, di cui 4,4 miliardi di euro per il triennio 2021-2023 specifici per la riqualificazione del personale.

Sicuramente un messaggio forte, che darà input per un investimento importante in crescita e riqualificazione.

Penso sia importante, però, non innescare meccanismi del tipo “ho soldi a disposizione, li uso” senza aver prima pensato bene al cosa e al come. Questo vale sia per le organizzazioni che organizzano i piani formativi sia per le persone che vogliono usufruirne.

Per “cosa” intendo, banalmente, ciò di cui si ha bisogno. Come essere umani, siamo tentati di utilizzare quel che c’è anche al di là di cosa serva realmente. Questo è molto bello dal punto di vista culturale perché implica poter spaziare e fruire anche di ciò che non è identificato come bisogno primario. D’altro canto, rischia di mettere in secondo piano il fatto che, quando studiamo qualcosa, tendenzialmente, lo facciamo per ottenere un obiettivo. Dovremmo, dunque, sapere da cosa partiamo e cosa vogliamo.

Il “come”, invece, implica chiedersi quale sia la modalità migliore per riuscire ad apprendere.

Come sapete mi piace leggere i dati ed analizzarli, quindi mi baso su alcune ricerche condotte proprio su come coinvolgere le persone attraverso programmi di formazione e sviluppo, che li aiutino davvero a crescere e acquisire competenze. Questo significa utilizzare modalità che siano veramente attrattive, fruibili e che osino uscire dai classici canoni.

Quello che emerge è che, negli ultimi anni, la formazione viene intesa nel senso più ampio di scambio tra i partecipanti, superando la classica modalità di trasferimento unidirezionale di conoscenze in aule predefinite, siano esse fisiche o virtuali, in momenti codificati. Per questo motivo, acquisiscono sempre più valore i momenti formativi che permettano il cosiddetto “bite – size learning”, cioè l’apprendimento “ a morsi”, brevi pillole di formazione semplici e veloci da fruire, inserite in alcuni momenti della giornata lavorativa e con format coinvolgenti. La cultura digitale ci insegna (nel bene e nel male) ad interiorizzare i contenuti in modo veloce ed intuitivo, utilizzando spesso le modalità audio e video. In tal caso, la formazione è un momento specifico in cui non si approfondisce un tema specifico, ma si fa una panoramica generica di cosa s’intende trattare. I momenti di approfondimento sono lasciati a momenti successivi, a cui parteciperà solo chi è veramente convinto di voler andare più a fondo, a quel punto dedicando risorse di tempo ed economiche. Parlo di risorse economiche perché, molto spesso, le “pillole” di formazione sono gratuite, gestibili tramite webinar, con poco materiale strutturato a supporto.

Il fatto di modulare i contenuti e suddividerli in diversi momenti risponde ad un’altra esigenza che emerge in modo prepotente: avere piani agili e flessibili, capaci di essere rimodellati per accogliere esigenze emergenti nel tempo, ad approfondimenti successivi. Questo porta ad una formazione personalizzata nelle scelte e nei contenuti, in cui il singolo sente che sono colte le proprie specifiche esigenze.

Un altro esempio interessante di format è quello del gioco. Si creano giochi, competizioni, nell’ottica di coinvolgere i partecipanti, assegnando loro delle piccole sfide e comparando i risultati.

Questo approccio, genericamente chiamato “gamification”, diventa ancora più interessante nel momento in cui molte delle interazioni avvengono in modalità virtuale. E’ provato che l’attenzione verso un interlocutore che parla attraverso il filtro del monitor, anche se visibile attraverso webcam, dura massimo 3 minuti. Trovare il modo di mantenere l’interazione ed il coinvolgimento diventa, a tutti gli effetti, uno degli ingredienti fondamentali affinché l’intervento formativo abbia successo.

Io penso che tutte queste modalità siano da comprendere e sperimentare…potrebbero esserci delle belle sorprese e ci potrebbe sentire più protagonisti sia nel creare contenuti sia nel fruirne!

3986C023-58F2-4DB0-9E07-D4ACA7F10758
47DACE42-9132-4D05-923A-7351D7808308

Tiziana Adage

Canavesani nel mondo

IL CANAVESE VISTO CON OCCHI DA STRANIERO

La prima volta che ho lasciato l’Italia per un periodo di tempo significativo è stato per lavorare nel nord dei Paesi Bassi, per quello che doveva essere un periodo di sei mesi, che sono diventati dieci, e con un breve ritorno, si sono trasformati in quattro anni e mezzo.
I primi fine settimana li ho passati a esplorare le bellezze naturalistiche della zona vicino a Groningen, tra cui la foresta di Asserbos, di cui vanno molto fieri. Ho capito più tardi il motivo, ma per me sembrava strano camminare tra alberi che, seppure molto vecchi, erano stati chiaramente piantati dagli esseri umani e non avevano nulla della varietà di specie arboree e del sottobosco a cui ero da sempre abituata camminando nei boschi vicino alla frazione di Cuorgnè dove ero cresciuta.
La seconda sorpresa l’ho avuta al primo rientro per Pasqua. Mio padre venne a prendermi all’aeroporto di Caselle, e rientrando a casa, dopo aver abbracciato mia mamma, voltandomi sono rimasta stupita della maestosità della Quinzeina con la cima ancora un po’ innevata.
Era sempre stata lì, tutta la mia vita, e non l’avevo mai veramente notata. Erano serviti circa tre mesi in una nazione dove il punto più alto è poco più di 300 metri sul livello del mare per accorgermi che ero cresciuta circondata dai monti.
Perché vi racconto tutto questo?
Il Canavese ha bellezze naturalistiche incredibili e uniche non solo per l’Italia, ma anche per tutta Europa e forse chi ci vive, se pur apprezzandole, non ne capisce l’infinito valore.
Ho amici olandesi, inglesi e tedeschi che impazzirebbero per i borghi di montagna, le colline coperte di vitigni, e i sentieri tra boschi e laghi.
La recente pandemia, che ci ha limitato di molto gli spostamenti soprattutto a fini turistici, ha fatto rivalutare a molti i luoghi più vicini a casa. La necessità di godere delle piccole cose, di un buon bicchiere di vino, di cibi magari poco esotici, ma genuini.
Ma non è solo la pandemia che ha cambiato le scelte turistiche. Il desiderio di passare le vacanze e il tempo libero in modo più sostenibile e green è sempre più diffuso, specialmente tra i giovani. E l’instaurarsi in molti settori della possibilità di lavorare in remoto ha spinto molti a spostarsi dalle città per potere nuovamente godere della natura e della possibilità di vivere in una casa, e non in un micro-appartamento. E non credo questa tendenza scomparirà.
Conosco persone che scelgono di trasferirsi, almeno per una parte dell’anno, a vivere e lavorare in altri posti. Per combinare il lavoro quotidiano online, con il piacere di vivere in un ambiente ricco di bellezze naturalistiche da scoprire dopo il lavoro e nel tempo libero.
IL Canavese ha moltissimo da offrire in questo senso, anche per la vicinanza a grosse città come Torino e Milano.
È solamente necessario guardarlo con occhi da straniero per capirlo.

travelers
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

Cultura

IVREA CAPITALE DEL LIBRO

Ci sono notizie che devono farci sentire orgogliosi di essere canavesani, sicuramente una di queste è quella giunta in queste settimane ed annunciata dal Ministro della Cultura, Dario Franceschini, che ha confermato che quella che era una speranza è diventata una realtà: Ivrea e tutto il suo territorio hanno vinto la sfida e sono stati scelti come luogo deputato per essere in questo 2022 Capitale Italiana del libro.

Un plauso va al Sindaco della Città di Ivrea Stefano Sertoli e a tutti i collaboratori che hanno raccolto questa sfida e credendoci sono riusciti a vincerla. Quella che era una speranza è diventata realtà e questo dimostra come ancora una volta il nostro territorio, se ci crede, sia in grado di raggiungere traguardi importanti.

Bello leggere le prime dichiarazioni del Sindaco Sertoli che ha parlato non solo di Ivrea, ma di opportunità per tutto il Canavese, della volontà di fare rete e sistema su un evento di prestigio che può e deve essere il primo tassello per un rinascimento in un ambito fondamentale come quello della Cultura.

Ivrea, già scelta dall’Unesco (così come un altro luogo caro ai Canavesani, il Santuario di Belmonte, era stato insignito di questo importante attestato internazionale), raccoglie il testimone da Vibo Valentia Capitale del libro nel 2021.

Bello sapere che il dossier che è stato presentato per la candidatura e che è risultato vincente si è sviluppato sul concetto di “Comunità” di Adriano Olivetti. Un pensiero di Società oggi estremamente attuale, e che traccia linee guida adattabili alla trasformazione che anche la digitalizzazione sta portando sempre più rapidamente nei diversi ambiti delle nostre società. Una trasformazione che deve essere guidata e non vissuta soltanto come evoluzione tecnologica in senso stretto, ma come elemento di visione e costruzione di nuovi concetti di Comunità inclusivi.

Tanti percorsi che si stanno muovendo verso obiettivi comuni partendo da punti diversi: penso ad esempio al progetto ICO Valley, e a quello del giovane Stefano Zordan con la sua OLI l’Academy sulla Leadership Adattiva portata da Harvard in Italia e che proprio in un luogo di cultura caro ad Adriano Olivetti ha trovato la sua sede, senza peraltro dimenticare che l’acronimo OLI sta proprio per Adriano Olivetti Leadership Institute. Percorsi, ne ho citati due ma sono molti di più, che hanno come obiettivo comune quello di riscoprire e rinnovare le potenzialità proprie del DNA del nostro Canavese ed esportarle in molte diverse geografie.

Quindi che la notizia di Ivrea capitale nazionale del libro 2022 non può che fare del bene al nostro territorio, una nuova sfida che sono certo sapremo cogliere, un tassello in più in un mosaico che si sta ricomponendo.

richiedi-info
E565FDD3-AE16-4431-B53C-E23552889144

Silvia Leto

Politica

LA POLITICA PER RILANCIARE UN TERRITORIO

“L’uomo sia per natura un animale politico” e ciò significa che l’uomo per natura è legato ad una vita comunitaria con altri individui inseriti in un contesto più ampio che è la “polis” (termine dal quale deriva la parola politica). Questa considerazione personale mi ha spinto ad avvicinarmi alla vita amministrativa della mia città, Cuorgnè, e nel 2011 ho iniziato la mia avventura come consigliera di maggioranza e poi come Assessore del comune di Cuorgnè.

Questa importante esperienza mi ha aperto gli occhi sulle potenzialità del Canavese, ma anche sui suoi problemi. Da tempo ormai si evidenzia una situazione statica, un territorio che con estreme difficoltà riesce a rinnovarsi, che rimane ancorato al periodo tanto fiorente del settore metalmeccanico. La necessità evidenziata dalla mia esperienza è quindi di una visione prospettica a 360°, in cui si mettano in risalto le potenzialità e si ritorni a competere con i sistemi territoriali limitrofi (vedi Torino, Biellese, Valle d’Aosta ecc.).

Come ottenere questo cambiamento assolutamente necessario?
Ho sempre pensato che impegnarsi per la comunità rappresenti un elemento fondamentale per dare una svolta ad un territorio. Oggi più che mai il nostro territorio necessita di impegno e nuova progettualità creativa per dare rilancio e lustro al Canavese. Impegnarsi per creare un luogo positivo, piacevole da vivere e con opportunità di lavoro, deve essere l’obiettivo fondamentale per mantenere ed attrarre eccellenze in un territorio.
Queste a loro volta sono elemento indispensabile per la sopravvivenza del territorio stesso. La qualità della vita, il livello di benessere, la condizione socio-culturale, lo stato dell’economia e delle infrastrutture, la valorizzazione dei beni artistici e ambientali, sono tutti elementi che fanno di un territorio un luogo attrattivo, un modello, un progetto di rilancio per la vita delle persone e per la permanenza delle imprese.
Per realizzare tutto questo è di fondamentale importanza “l’habitat politico, economico e istituzionale”. Il connubio favorevole o sfavorevole di questi elementi possono influenzare pesantemente tutti gli abitanti e con essi lo sviluppo o la decrescita del territorio. Il territorio come tale non può essere considerato solo in relazione ad una o poche realtà, ma va considerato nel suo complesso e in tutti i suoi aspetti.
Per una buona riuscita è necessario lavorare in “compartecipazione”, come persone appartenenti ad una stessa squadra, tralasciando le visioni campanilistiche e raggiungendo una visione d’insieme per ripensare ad un territorio esteso e unito.

Il cambiamento è possibile, ma deve partire da ognuno di noi. Siamo tutti fondamentali.

politica
593AC5BC-5994-4165-B096-D51F22C9D6C2

Andry Verga

Cultura

IL CANAVESE NELLE IMMAGINI

Riprendo il discorso dal mio precedente articolo, entrando più nello specifico dei progetti che ho sviluppato in questi anni e che hanno avuto con sfumature diverse al centro sempre il Canavese. Non voglio autocelebrarmi e so che molti lavori oltre ai miei sono stati fatti, un patrimonio di immagini e storie da cui attingere per conoscere meglio i luoghi e i personaggi di questa nostra bella terra e da divulgare per farla apprezzare fuori dai nostri confini, e con l’iniziativa dell’HUB Canavese al Centro, stiamo lavorando per definire uno specifico contenitore da cui facilmente poter attingere a questi lavori e renderli condivisibili.

Tornando alla mia produzione, voglio ricorde il documentario su Guido Gozzano (Guido Gozzano, dalle Golose al Meleto), su Arduino (Re Arduino, Sans Despartir), sulle streghe di Levone (Heresìa), ma anche documentari più classici, dov’è il territorio ad essere protagonista come “Canavese, terra di Sapori”, “Il Priorato di Santo Stefano di Candia Canavese” e “Belmonte, un Patrimonio da scoprire”.

Negli anni il Centro Etnologico Canavesano (C.E.C.) nella figura di Amerigo Vigliemo ha raccontato il Canavese attraverso i canti popolari. Proprio filmando il coro Bajolese abbiamo realizzato un documentario che ripercorre le orme dei nostri avi e sopratutto rende omaggio al meticoloso lavoro di ricerca che con passione Amerigo ha portato avanti.

Per far conoscere queste produzioni abbiamo organizzato numerose proiezioni pubbliche che hanno toccato molti comuni canavesani. e che speriamo di riprendere quanto prima. Le serate si articolano con una presentazione iniziale dove si racconta il progetto e i motivi che hanno spinto a realizzarlo. Si prosegue con la proiezione su grande schermo terminando con alcune parole dell’ospite o delle associazioni che hanno collaborato con noi al progetto.

Coinvolgendo la popolazione e le amministrazioni locali abbiamo portato l’audiovisivo a supporto del territorio facendo in modo che la cultura passi attraverso le immagini, i suoni e le parole.

All’interno del documentario, il modo di raccontare e narrare è semplice e diretto. Una regola comunicativa che tengo sempre a mente, così che tutti possano comprendere avvenimenti e vicende in modo chiaro pur non conoscendo spesso l’argomento, e posso garantirvi che lo stupore nel rendersi conto di quanto sia ricco culturalmente il nostro Canavese, lo si legge negli occhi degli spettatori.

Continuando ad osservare il territorio e la sua gente non è possibile non imbattersi in una delle più importanti manifestazioni di storia collettiva, ovvero il Carnavale di Ivrea. Dedicando anni allo studio e alla preparazione di questo documentario mi sono reso conto di quanta storia racchiuda.
Un concentato di epoche che strato dopo strato viene messo in scena ogni anno tra le vie di Ivrea, e che speriamo possa tornare quanto prima. Nasce così “La Festa dello Scarlo e Violetta, la leggenda”, un libro un documentario e un cortometraggio che rende omaggio allo Storico Carnevale di Ivrea.

Ci sono poi delle situazioni in cui il documentario sfocia nella pura finzione, dove i fatti reali si fondono in storie romanzate e dove la cretività prende il posto della realtà.

Nasce così il cinema.

Nel mio piccolo ho avuto modo di realizzare un lungometraggio che ha preso spunto proprio da storie canavesane sceneggiate da Ilario Blanchietti curando anche i dialoghi in lingua originale, ovvero il canavesano!

“La stagione dei gusci di noce” è un salto nella vita e nei problemi di inizio 900, una storia che accompagna lo spettatore a rivivere le atmosfere della cruda realtà della vita contadina in Canavese alla fine della Grande Guerra.
Nel presentare questo filmato lo abbiamo promosso come “un’importante risorsa da custodire, studiare, valorizzare e trasmettere, per guardare al futuro con le conoscenze del passato.”

Questo è un esempio di come le docu-fiction e i documentari in genere possono non solo arricchiere il proprio bagaglio culturale, ma possano essere un vero e proprio veicolo di divulgazione e testimonianza verso le generazioni future.

Il Canavese mi ha sempre regalato spunti di riflessione e ancor oggi dopo diverse produzioni alle spalle continua a sorprendermi con storie, personaggi e vicende che ancora non conoscevo, rendendo stimolante la continua ricerca per nuove produzioni.

Il territorio negli ultimi anni ha anche avuto un rilancio turistico interessante, amministrazioni locali, istituzioni ma anche semplici cittadini hanno riscoperto il valore storico, artistico e cuturale del Canavese. La promozione dei prodotti tipici legata alla gastronomia e alla viticultura hanno portato molte realtà a credere di più nei prodotti locali rilanciando l’offerta turistica e migliornado l’accoglienza, spesso i più non sanno, ma molto è il materiale divulgativo che gira sulla rete.

Questo rilancio è stato supportato da un video promozionale che ho avuto il piacere di realizzare per conto del Gruppo Turismo di Confindustria Canavese. “Canavese, lasciatevi sedurre” è una vetrina di quello che il nostro territorio sa offrire. Arte, cultura, storia, eventi, prodotti tipici, sport e natura tutto racchiuso in pochi minuti. Un linguaggio, quello del video “breve”, che deve rispettare certe regole legate alla fruizione dei contenuti nel mondo web.

Questa riflessione mi porta ad una conclusione: oggi tutto deve essere veloce e immediato, in caso contrario non viene preso in considerazione. L’eccessivo affollamento di contenuti multimediali spinge a una visione rapida e continua senza soffermarsi troppo sui contenuti dei video proposti. Questo è un cambiamento che da anni la società ci impone, ma che sta a noi saper controllare e gestire.

Per esempio, quante volte siamo attirati da un fast food fatto di un veloce hamburger, magari mangiato su un affollato tavolino di plastica? La sera stessa però vorremmo goderci un piatto di polenta di fronte al fuoco di un camino, bevendo un bicchiere di vino con i nostri amici…

Tutto questo è oramai nelle nostre abitudini, sta a noi trovare il giusto equilibrio, un equilibrio che esiste anche quando si realizza un audiovisivo, un video non deve essere troppo lungo per non annoiare ma neanche troppo veloce per non essere capito.

In questa confusione, in attesa di renderli fruibili attraverso l’HUB Canavese al Centro, Vi lascio con due proposte così da poter “assaggiare” e riflettere su quello che ho cercato di spiegarvi, dove il fattore comune resta RACCONTARE IL CANAVESE ATTRAVERSO LE IMMAGINI.

“Canavese, lasciatevi sedurre” https://youtu.be/3cLSP5nFNYI
“La stagione dei gusci di noce” https://youtu.be/27mZNyPjc18

graphic-07
151CBDA3-4B04-4C2A-AA6F-CC3D112455F4

Elisabetta Tamietti

Ambiente

ABBIAMO TUTTI BISOGNO DI UN PAESE IN CUI TORNARE

Abbiamo tutti bisogno di un paese in cui tornare, un po’ come diceva Cesare Pavese nella “luna e i falò”, lui era innamorato delle sue Langhe e io del verde Canavese.
Un amore intenso trasmesso da mio padre, romano di adozione ma canavesano di nascita e di cuore. E io, che vivo e sono nata romana, appena posso fuggo a Castelnuovo Nigra (Sale) tra le mie montagne.
Le mie montagne fotografate centinaia e centinaia di volte ogni mattina, ogni sera, al tramonto, sempre la stessa foto, scattata come per bloccare un’emozione che potrebbe sfuggire o essere dimenticata …. e che invece non viene mai dimenticata e le mie montagne sono sempre lì ad aspettarmi con la loro maestosità .
In estate venivamo nella casa dei miei nonni, una casa antica, che ci faceva vivere una vita completamente diversa, ma per noi era un divertimento infinito fare il bagno nella tinozza o rimanere in giro nel paese fino all’arrivo della notte era una libertà rubata; quando mi chiedevano “Ma tu da Roma vieni a fare le ferie a Sale? Sei matta?! “Capivo che il mio amore, che fortunatamente sono riuscita a trasmettere anche alle mie figlie, era ed è un amore profondo, un amore per i miei antenati, un “amore famiglia” fatto dì radici e sentimenti.
Ricordi lontani mi tornano alla mente quando durante l’inverno a Roma sentivamo il profumo di erba tagliata ci guardavamo e insieme esclamavamo “profumo di Sale !!!“
Devo dire però che nell’età matura e grazie ad amici cari che sono riuscita ad apprezzare maggiormente le meraviglie di questo territorio pieno di storia, di natura , di panorami mozzafiato, di balconi naturali dove il tuo sguardo si perde sulle valli sottostanti ma soprattutto fatto dì piccole realtà, di persone che si mettono in gioco con dedizione e coraggio, cercando di trasformare in qualcosa di nuovo il nostro Canavese. Ho sempre pensato che tutto questo debba essere canalizzato verso la rinascita di un territorio da far scoprire, specialmente ai turisti stranieri, pieno di sfide e opportunità ed è con grande piacere che salto anch’io in questa nuova avventura.

8AA12763-AD8E-42C9-9268-FF897FD2C15F
593AC5BC-5994-4165-B096-D51F22C9D6C2

Andry Verga

Cultura

IMMAGINI CHE CI RACCONTANO

Quando ti guardi attorno scopri che ogni cosa ha una sua storia; un paese ha la sua storia, una persona ha una sua storia, un edificio ha una sua storia e sento che tutto questo deve essere raccontato, condiviso. Per mestiere e soprattutto per passione, in giro per il Mondo o nel mio Canavese, che ha molto da raccontare, da 25 anni faccio questo con le immagini: ricostruisco, documento, testimonio.

A pochi passi da casa mia diversi anni fa mi sono imbattuto in una storia da brividi accaduta agli inizi del 1800 e ai più sconosciuta: un giovane omicida venne condannato a morte dopo aver confessato atroci delitti. Nasce così una delle più famose leggende di cronaca nera del Canavese e la mia docu-fiction “Giorgio Orsolano, la Jena di San Giorgio” che esce nel 2003.

Negli anni cresce questa mia voglia di raccontare la nostra terra e nascono sotto questo “segno” diversi progetti, come il documentario su Guido Gozzano (Guido Gozzano, dalle Golose al Meleto), su Arduino (Re Arduino, Sans Despartir), sulle streghe di Levone (Heresìa), ma anche documentari più classici, dov’è il territorio ad essere protagonista come il “Canavese, terra di Sapori”, oppure “Il Priorato di Santo Stefano di Candia Canavese” e “Belmonte, un Patrimonio da scoprire”.

Il denominatore comune è sempre il Canavese, con i suoi personaggi e le sue storie. Un luogo che sa offrire una moltitudine di panorami, vedute e ambienti molto suggestivi da filmare passando dai numerosi laghi calmi e piatti alle montagne innevate, dalle colline fitte di vegetazione alla più tranquilla pianura. Si susseguono spledidi tramonti a nuvole minacciose passando da vallate abbandonate a vivaci e colorati paesi.

Tutto questo è solo il contorno, la cornice, poi ci sono gli abitanti di queste terre… Ed è sopratutto la storia di chi la vive a creare l’identità di un territorio.

Costuire questi percorsi vuol dire approfondire, ricercare, entrare nella storia per ricostruire quel determinato periodo storico, quel Canavese che è sì storia, ma anche futuro. Vuol dire coinvolgere in questa avventura tante persone che si appassionano, che vivono con me quella storia. Da soli non si andrebbe da nessuna parte: senza il supporto di ognuno, senza il coinvoglimento anche emotivo di un gruppo alle immagini mancherebbe un’anima.

Inizio questo mio percorso di collaborazione con gli amici di Canavese al Centro, in cui proverò a trasmettervi un pò alla volta le sensazioni che provo quando torno nella mia terra, il Canavese. Condivideremo le immagini e le storie che ho già documentato e le molte altre che abbiamo ancora da scoprire, con l’obiettivo di conoscere e farci conoscere all’esterno attraverso nuove teconologie che raccontano storie e luoghi concreti da venire a vivere.

Abbiamo molto da dire e offrire, ma dobbiamo crederci convintamente.

Ecco, questo è il mio piccolo contributo ad una terra che amo e in cui ritorno volentieri, quando spesso mi allontano per molto tempo per ragioni di lavoro. Un work in progress che costruiremo insieme strada facendo.

Alla prossima puntata, si comincia !
Un saluto, Andry

footer-06
0FB86347-53B4-4A84-A2E7-296B5D6FB7A8

Ombretta Bertoldo

Sociale

LAVORO, COME SIAMO E COME SAREMO

Mi piace parlare dei fenomeni psico-sociali, osservarli e discuterne da diversi punti di vista, in particolare, con i due che rispecchiano le modalità con cui funziona il nostro cervello. Si tratta della modalità fatta di intuizioni, intenzioni e sensazioni e di quella analitica, orientata ai dati. Prendendo spunto dal premio Nobel Daniel Kahneman, possiamo parlare di due sistemi cognitivi: il sistema 1, quello dei pensieri “veloci e intuitivi” e il sistema 2, quello dei pensieri “lenti e analitici”. Fatta questa premessa, è interessante provare ad affrontare alcuni paradigmi del mondo del lavoro attuale e del suo cambiamento, provando ad andare “oltre il sistema 1”. Mi spiego. Se qualcuno vi parla, ad esempio, di “Millennials”, “generazione digitale” o “Baby Boomers”, probabilmente si formano in noi alcune immagini stereotipate, evocate dal nostro sistema di intuizioni e credenze non approfondite (il sistema 1). E’ probabile che molte di queste siano veritiere, mentre altre possono essere smentite dai dati.
Questa volta voglio utilizzare il sistema 2, cioè portare statistiche e dati tratti da varie ricerche. V’invito, alla fine di questo breve articolo, a provare a confrontare le immagini che avevate inizialmente con i dati descrittivi: quanto eravate vicini, con l’intuizione, a cogliere le specificità dei fenomeni?

Iniziamo dalle definizioni.
Baby Boomers: sono i figli del “baby boom”, coloro che hanno vissuto il periodo della ripresa economica e del boom demografico successivo alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Sono i nati tra il 1945 ed il 1965. È la generazione delle rivoluzioni culturali, delle lotte per i diritti civili, del movimento hippie, della rivoluzione sessuale, del pacifismo, del femminismo e del rock. Sono orientati al lavoro e alla carriera, ambiziosi, con redditi mediamente elevati, ma anche con una grande predisposizione al risparmio.

Generazione X: nati indicativamente tra il 1966 ed i 1980, hanno vissuto eventi storici epocali come la caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda. Rispetto alla generazione precedente hanno un’apertura mentale maggiore verso le “differenze” di genere, razza, sessuale e sono i primi ad essere cresciuti con le nuove tecnologie, dando il via all’era di Internet.

Generazione Y, i “Millennials”: nati tra il 1981 e il 1995, sono coloro i quali maggiormente vengono visti come precari, “bamboccioni”, poco dediti al lavoro (secondo le credenze del sistema 1).

Generazione Z, i nati tra il 1996 e il 2010, anche chiamati “Centennial”, “Digitarian”, “Post-Millennial”, cioè la prima generazione nativa digitale, con diffuso utilizzo di Internet sin dalla nascita.

Dai dati di varie ricerche condotte su più di 4.000 laureati in 75 Paesi si ricavano informazioni utili per definire meglio i Millennials impiegati o prossimi ad entrare nel mercato dei lavoro, nello specifico terziario e dei servizi. Da lì si può partire per qualche confronto anche con la generazione successiva, quella Z. Quest’ultima non è ancora interamente inserita nel mercato del lavoro, ma sarà il target del futuro, quello che nei prossimi anni influenzerà di più le strategie di digital marketing delle aziende.

Nel 21° secolo, la maggior parte delle organizzazioni si attiene a un modello rigido sia per quanto riguarda l’orario di lavoro (fisso e non flessibile) sia per il luogo (predeterminato, tipicamente l’ufficio). Tuttavia, ci sono prove che i dipendenti sono più produttivi se hanno una maggiore autonomia su dove, quando e come lavorano.
I Millennials, in particolare, vogliono essere in grado di lavorare nel modo più adatto a loro. Il loro ampio uso della tecnologia fa sì che il confine tra lavoro e casa sia sempre più sfocato. Le ricerche indicano, però, che molti preferirebbero lavorare in ufficio in modo da avere un’interazione, piuttosto che essere da soli. Gli uffici sono visti come spazi di incontro, piuttosto che un luogo fisso per il lavoro. Un ambiente a misura di Millennial può essere completamente digitale, ma deve anche essere comodo e creativo. I Millennials si aspettano di lavorare sodo, ma non vogliono stare seduti in un banale cubicolo tutto il giorno. Il 65% degli intervistati ritiene che gerarchie rigide e stili di gestione obsoleti non riusciranno ad ottenere il massimo da loro e il 46% pensa che, di solito, i manager delle altre generazioni non capiscano il modo in cui la tecnologia possa essere utilizzata al meglio nel lavoro.
Per i lavoratori Millennials è più importante essere premiati per il raggiungimento dei risultati piuttosto che dal numero di ore che lavorano, mostrando di cercare una buona work – life balance. Questo aspetto è quello che spesso li fa definire poco dediti al lavoro, quando, invece, si tratta solo di un diverso modo di lavorare, ma non per questo meno operoso.
Questa concezione del lavoro si traduce anche in risposte precise in merito ai meccanismi motivazionali che muovono i Millennials nella ricerca di un posto di lavoro.
La retribuzione non è al primo posto, bensì al secondo, dopo la possibilità di far carriera e quasi a pari merito con la formazione, seguita dalla presenza di benefit (ad es welfare o sistemi premianti non economici) e dalla possibilità di avere un reale bilanciamento di vita privata e lavorativa. Agli ultimi posti delle preferenze ci sono il settore per cui opera l’azienda per cui si andrà a lavorare e il setting di valori che l’organizzazione incarna. Come aspetto a corollario emerge come solo il 4% degli intervistati dichiari che lavorerà per un unico datore di lavoro fino alla pensione, mentre, mediamente, ritengono che cambieranno da 2 a 5 realtà nell’arco della vita lavorativa.

Per quanto riguarda la Generazione Z, si iniziano a rilevare alcune differenze rispetto ai Millennials.
Si può affermare che quei giovani rivalutino l’aspetto valoriale che l’organizzazione incarna, legando questo aspetto soprattutto alla ricerca e promozione del “green” in tutte le sue sfaccettature. Aumentano ancora il livello di digitalizzazione, oltre che la ricerca di mobilità (sia come cambio di aziende sia come esperienze in altri paesi) e lo spirito imprenditoriale. Si tratta di persone, in generale, meno conservatrici, meno fedeli all’azienda di appartenenza, ancora meno interessate a programmi strutturati e formali di formazione e crescita.

Sicuramente le organizzazioni dovranno spingere sempre più per essere attrattive verso questi nuovi lavoratori, tenendo presenti questi dati di base per poi personalizzare le proprie strategie di attraction & retention, anche utilizzando gli spunti del sistema cognitivo 1, che può rendere creativi e, talvolta, disruptive i vari piani di azione.

3986C023-58F2-4DB0-9E07-D4ACA7F10758
47DACE42-9132-4D05-923A-7351D7808308

Tiziana Adage

Canavesani nel mondo

LA SCIENZA HA FALLITO ?

Da canavesana che vive all’estero da parecchi anni, ha destato interesse l’iniziativa “Canavese al Centro” di cui ho letto, e anche per sentirmi più vicina ad una terra che amo e che mi manca ho deciso di aderire e dare il mio contributo, sia per consolidare il mio rapporto con il territorio, sia per offrire punti di vista da prospettive diverse.

Inizio con un articolo attinente al mio lavoro, sono una biologa e farmacologa che lavora da sempre allo sviluppo di nuovi farmaci, cercando di fornire elementi oggettivi e mie considerazioni che si basano su quello che è il mio osservatorio di ricercatrice.

Quando la corsa al vaccino contro il SARS-CoV-2 è iniziata per me è stato subito chiaro che nella lotta contro il tempo avrebbero vinto i vaccini a mRNA. La tecnologia era più che matura, i dati sul genoma del virus venivano generati e condivisi in tempo reale, e una conoscenza dettagliata di quella classe particolare di coronavirus si era acquisita nelle recenti epidemie mondiali di SARS-Cov-1 e MERS nel 2003-4 e 2012, rispettivamente.

Avevo persino, scherzando, scommesso sul vaccino di Moderna. Peccato non aver fatto seguire le parole con azioni, in questo caso comprandone.
Ho seguito con il fiato sospeso gli annunci delle agenzie, e mi sono meravigliata della collaborazione mondiale, degli investimenti economici fatti, e dal fatto che tutte le riviste scientifiche, senza distinzione offrissero la pubblicazione immediata e senza costi di qualunque studio che trattasse di SARS-CoV-2 o della malattia da esso causata, il COVID-19.

Il numero delle pubblicazioni scientifiche quotidiane cresceva in modo esponenziale, in modo simile alla curva di contagio del virus, portando conoscenza e nuove domande, come é normale prassi nel mondo scientifico. I dati venivano scambiati, discussi, alcuni studi ritirati post pubblicazione, perché ritenuti dagli specialisti condotti in modo non appropriato, senza i controlli adeguati, o semplicemente incompleti (processo di peer-review), compensando per la necessità di essere veloci senza perdere qualità.

Le agenzie regolatorie responsabili di controllare il dossier con tutti I dati di produzione, qualità, sicurezza non-clinica e clinica dei prodotti farmaceutici o biotecnologi si sono rese disponibili di analizzare e dare un riscontro alle aziende produttrici dei nuovi vaccini in tempo reale, attivando quella che in inglese si chiama rolling review. In questo modo non si sarebbe perso nemmeno un giorno più del necessario.

E tutto questo sforzo ha dato l‘esito aspettato. Nel dicembre 2020 l’agenzia regolatoria americana FDA ha dato l’autorizzazione d’uso in emergenza (EAU) al primo vaccino, quello di Pfizer-BioNtech, che dall’agosto del 2021 ha ottenuto l’approvazione definitiva. L’autorizzazione americana e ‘stata seguita a ruota da quella dell’agenzia Europea (EMA) e poi a cascata dai singoli stati membri.
I siti di produzione approvati a livello mondiale continuano ad aumentare per garantire che le dosi necessarie a tutti vengano prodotte in tempi accettabili.

Ad oggi quattro vaccini per il COVID-19 sono autorizzati in Europa (Comirnaty della BioNTech e Pfizer; Spikevax di Moderna; Vaxzevria di AstraZeneca e quello di Janssen), un altro ha fatto domanda di entrata in mercato (il Nuvaxovid di Novavax) e altri quattro sono in rolling review.

Allora perché, nonostante quello che dal mio punto di vista non può che essere annoverato come un successo senza precedenti della scienza e della collaborazione internazionale c’è diffidenza, timore rifiuto? Mancanza di fiducia in chi ha lavorato giorno e notte per offrire una soluzione?

Credo che se la scienza ha avuto successo nel mantenere le proprie promesse, chi l’ha tradita siano gli uomini e le donne che la scienza la praticano senza saperla spiegare.
Ho assistito con orrore a informazioni scientifiche date in pasto al pubblico in modo incompleto, superficiale quando non addirittura errato, nel tentativo di semplificare concetti ritenuti troppo complessi. Ho ancora un paio di capelli bianchi di più dopo aver visto su volantini informativi ufficiali la spiegazione…’ l’mRNA, un pezzo di DNA…’.

Chiudo quindi questo mio sproloquio chiedendovi di avere fiducia nella scienza, nel suo processo di continua revisione, e nelle decisioni delle autorità regolatorie. Se avete dubbi chiedete spiegazioni, imparate, cercate tra le tante voci chi le spiegazioni sa darvele in modo semplice e chiaro, ma corretto.

Il Canavese ha la fortuna di avere un sito di eccellenza internazionale per innovazione, il Parco Scientifico Tecnologico Bioindustry Park, che attrae talenti nazionali e internazionali. Mi auguro che i giovani canavesani accolgano la sfida e si appassionino alle scienze, magari scegliendo di iniziare un corso di studi scientifici al Liceo Aldo Moro di Rivarolo Canavese, dove anche io ho iniziato il mio cammino.

34734A27-4CC9-473B-AB7F-A49EDEA65F6E
91234535-7F9E-4BF1-B5D7-04B2677459A9

Giuseppe Pezzetto

Economia

CUNEVESANI

Solitamente si usa comparare modelli economico/sociali di altri Paesi, di luoghi lontani sia fisicamente che culturalmente, per evidenziare quei territori che meglio di altri sono stati maggiormente resilienti ad eventi epocali.
In questo ultimo decennio abbiamo avuto purtroppo la possibilità di toccare con mano il significato vero della parola “resilienza”: prima con una crisi economica globale senza precedenti, non dimentichiamolo, che possiamo fissare come data d’inizio usando come riferimento l’articolo del Wall Street Journal di lunedì 15 settembre 2008 – la testata titolava a sei colonne in prima pagina: «Crisi a Wall Street, Lehman in bilico Merrill in vendita e AIG in cerca di soldi» e poi tutti sommersi da questa logorante pandemia che da sanitaria si è trasformata in economica con un effetto pendolo che non si è ancora fermato.
Da tempi non sospetti, direi addirittura ante crisi, cerco di portare all’attenzione di chi abbia voglia di leggermi, ed ascoltare, un modello: un territorio del tutto simile al nostro, geograficamente, antropologicamente e culturalmente, e non da ultimo, a noi molto vicino. Una zona che ritengo, su diversi piani, un esempio a cui tendere e con cui confrontarsi, provando addirittura ad ipotizzare concrete sinergie.
Un territorio che ha saputo reinventare la propria tradizione, trasformando dei luoghi, per chi li ricorda con Pavese ne “La luna e i falò”, in luoghi di prestigio internazionale; un territorio in cui il modello Ferrero molto ha preso dal nostro modello Olivetti, un territorio in cui la politica, prima di avere un partito da “sostenere”, ha un territorio “da difendere”.
I Cuneesi infatti, sono stati capaci di miscelare ingredienti quali industria, agricoltura, finanza e politica, utilizzando una sapienza certo non priva di momenti di impasse, che ha però consentito di crescere come comunità nei diversi ambiti, dal turismo enogastronomico, a quello dei servizi, dei prodotti di qualità sino ad occupare posizioni di rilievo in quello della finanza, il tutto con la capacità di esportare questo modello ben oltre il perimetro geografico Regionale e Nazionale.
Molte sono le similitudini con il Canavese e molti gli ambiti da cui potremmo trarre utili spunti, avendo tra le altre cose buona parte degli ingredienti, che fatichiamo però ad amalgamare.
In sintesi, si tratta di lavorare seriamente all’elaborazione di un progetto Canavese, una lobby canavesana capace di fare squadra e che, pur nelle giuste ambizioni dei singoli, nella specificità delle diverse realtà, nelle potenzialità delle diverse comunità, metta al centro dell’elaborazione economica, culturale e sociale il territorio, lavori per posizionare il nostro territorio innovando e sfruttando appieno le potenzialità che saranno messe a disposizione e quelle inespresse che abbiamo.
Certo, nella frenesia che caratterizza il nostro tempo, questi progetti non daranno risposte immediate ai problemi quotidiani, ma stiamo dimostrando proprio con la nostra resilienza che su quelli ci stiamo tutti lavorando, dobbiamo però nel contempo anche porre le basi per costruire solide prospettive per il futuro, senza dimenticarne l’importante e fondamentale passato. Rimettiamo il “Canavese al Centro”: per alcuni utopia, per altri una suggestiva ipotesi su cui sfidarsi, per altri ancora l’unica via.

E05EC93C-89B0-437F-9FB7-56A5C7FA9EA8